Geometrik

GEOMETRIK

 

Una pagina in cui intendo occuparmi di geometria e geometrie sotto vari aspetti

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da quello puramente didattico a quello delle misurazioni su ampia scala e
perché no intergalattiche!

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L’ etno-geometria e i sona

Cosa si nasconde dietro ai tatuaggi tribali, un significato certo!

Tuttavia oltre al tatuaggio, ci sono altri oggetti o forme ripetitive che si accompagnano  a gesti ed oggetti, quindi al di la del loro significato puramente ancestrale ed ideale di alcuni oggetti possiamo stabilire un punto comune  ognuna di queste cose ha per base una sequenza geometrica .

Q uindi i tatuaggi delle tribu’ Maori piuttosto che quelli degli Zulu o le decorazioni degli Atzechi o dei Maia  hanno in comune il concetto innato delle forme geometriche .  Le  tribù dell’africa centrale ne sono un esempio. L’uso della geometria non è in ogni caso solo figurativo, ma anche fittizio, ovvero ci sono delle applicazioni pratiche derivanti dal semplice gioco di linee e punti. Di seguito  il Sona

                                                

Etnogeometria

Le culture africane sono particolarmente ricche nelle loro varietà ornamentali. Nell’ Africa centrale e in quella meridionale le donne sovente prendono l’iniziativa di decorare le loro case, i vasi, i cesti, le stuoie con disegni nei quali la ricerca geometrico-artistica gioca un ruolo importante. La simmetria è spesso una caratteristica saliente dei loro disegni.

I sona

La pratica dei disegni Sona appartiene principalmente alla popolazione dei Tchockwe,oltre che ad altre popolazioni che abitano la parte nord orientale dell’Angola. Presso queste popolazioni, i cantastorie tradizionali accompagnano i loro racconti segnando sulla sabbia una serie di punti, ordinati in forma di tabella, tracciando poi in obliquo e secondo determinate regole una linea continua in modo da racchiudere tutti i punti. I disegni così ottenuti possono, inoltre, essere arricchiti, così da ottenere figure che si rifanno alla storia raccontata.

Paulus Gerdes è colui che ha maggiormente contribuito alla ricostruzione dei concetti matematici contenuti nei sona. Gerdes ha classificato i differenti disegni presi in esame secondo le regole utilizzate per la loro esecuzione; inoltre, dopo averne evidenziato alcune proprietà matematiche, ne ha proposto alcuni possibili utilizzi didattici.      Una delle prime proprietà descritte riguarda il concetto matematico esprimibile mediante il numero di linee (poligonali) necessarie per completare il disegno di un particolare sona. Tale numero corrisponde al Massimo Comune Divisore fra i due numeri interi positivi che rappresentano il numero di colonne e il numero di righe del reticolo su cui si esegue il sona.

978-88-488-0755-5 

Paulus Gerdes, l’autore del libro, è un matematico del Mozambico che si occupa soprattutto di etnomatematica, cioè del tentativo di offrire una visione globale della matematica, riconducendone i concetti astratti al contesto umano delle differenti culture che li hanno generati. L’etnomatematica riesce a dimostrare che le culture tradizionali possiedono concetti molto più sofisticati di quanto in genere non si creda. Il titolo del libro definisce Pitagora “africano” perché visse 22 anni in Egitto, dove probabilmente imparò il suo famoso teorema, che poi si diffuse in tutto il mondo.”

 

ECCO ORA UN PICCOLO ARTICOLO SULL’USO DI UN MODERNO GIOCO GEOMETRICO                                                        

GEOMETRIA MONTESSORIANA?

ECCO UN GIOCO CHE USANDO I PRINCIPI MONTESSORIANI UNITI A QUELLI DI PIAGET PORTA AD UNA INCONSAPEVOLE PRRESA DI COSCIENZA DI UN MONDO GEOMETRICO E PUO’ STIMOLARE LA MENTE FANTASIOSA DEI BAMBINI A CREARE NUOVE FORME  O FORSE  A DIVENTARE ARCHITETTI!  ECCO L’ESPERIENZA|

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Il Geomag è sicuramente la risposta più scontata se pensiamo a un gioco utile per la costruzione di solidi e figure geometriche. Il costo non è proprio basso, ma il gioco si presta a molte variante per cui vale la pena suggerirlo alla prima occasione in cui può arrivare un regalo.

Un consiglio provato nella nostra scuola in soffitta: provate a proporre insieme il Geomag e una lavagnetta con i gessi, proprio come se dovessero essere utilizzati insieme. Vi dico cosa è successo da noi:

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1- ne ha voluto disegnare il contorno, “l’impronta” un po’ come ha imparato a scuola, poi

2 – gli è venuto in mente di inventarci una macchina fantastica per spruzzare coriandoli spray (ce l’aveva in testa perchè li ha visti a Carnevale, non li ha avuti e si è inventato come secondo lui potesse funzionare quella misteriosa bomboletta).

 

 

la matematica e geometria dei tuareg

 
UN BLOG MOLTO INTERESSANTE CHE PARLA DEGLI UOMINI BLU DEL DESERTO E LA LORO CAPACITà INNATA DI FARE MATEMATICA E GEOMETRIA

MATEMATICA E CULTURE AFRICANE

 di Franco Favilli

Esiste una matematica africana? L’immagine tradizionale della matematica è quella di una

Volevo segnalare questa serie di lavori raccolti in un testo che parlano ancora di matematica etnica questa volta dalla creazione di giochi operata da tribù TUAREG o da tribù  provenienti dalla Costa D’avorio

disciplina sostanzialmente astratta e statica, una sorta di linguaggio universale, che mette a disposizione dell’uomo prodotti e strumenti uguali, indipendenti dal contesto sociale e culturale in cui l’uomo vive. Quindi la risposta sembra essere: NO.

Beh, non è proprio così! Se proviamo infatti a rispondere a questa nuova domanda Cos’è la matematica?, ci accorgiamo che le risposte possibili sono tante, ma quella che può trovare d’accordo molti è altrettanto semplice (anche se forse non la migliore!):

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La matematica è il complesso di attività che l’uomo pone alla base di ogni sua azione finalizzata ad affrontare e risolvere problemi posti dalla vita reale.

Quindi, come l’uomo crea strumenti diversi per comunicare con i suoi vicini (lingue diverse), così crea strumenti diversi per porsi in contatto con la realtà in cui vive (linguaggi diversi, matematiche diverse). Ancora: come l’uomo, nel creare lo strumento linguistico, è evidentemente condizionato dall’ambiente sociale e culturale in cui vive, così è condizionato dalla società e dalla cultura a cui appartiene anche nel creare gli strumenti matematici. Se guardiamo pertanto all’essenza della matematica, al suo cos’è dobbiamo ammettere che culture diverse creano (non solo lingue ma anche) matematiche diverse. Vi sono tante matematiche allora, di cui quella usualmente utilizzata nelle aule scolastiche è, se vogliamo, una loro sublimazione, uno strumento creato da addetti ai lavori (un particolare gruppo culturale) per comunicare fra loro, indipendentemente dai contesti culturali di provenienza.

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Se ritorniamo alla domanda iniziale, possiamo ora rispondere: In Africa ci sono tante matematiche!

Per quanto detto, l’immagine della matematica – vista come un complesso di conoscenze di tipo universale e culture-free – viene quindi ad essere superata e si può parlare di attività matematiche piuttosto che di matematica. A questo proposito Alan Bishop sottolinea come sia la matematica scolastica che le diverse etnomatematiche si sviluppino a partire da comuni categorie di attività, che vengono individuate nel contare – misurare – situare – disegnare – giocare – spiegare.

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Alla luce anche di queste considerazioni, l’attenzione di alcuni studiosi di cose matematiche (a livello storico, antropologico, educativo, didattico, ecc.) si è rivolta allo ricerca ed all’analisi di attività matematiche caratteristiche di culture diverse da quella occidentale (o meglio, di quella scolastica occidentale). In questa direzione si sono mossi, ad esempio, Zaslavsky, Ascher, Joseph, Gerdes che, attraverso i loro libri, hanno mostrato quanto ricche siano le conoscenze matematiche di popolazioni lontane, la cui cultura viene troppo spesso valutata in base ad una semplice comparazione con quella dominante del mondo occidentale: come se le culture potessero essere pesate o misurate! Molte di queste conoscenze matematiche indigene sono utilizzate in maniera implicita e, spesso, inconsapevole nello svolgimento di attività comuni della vita reale: nonostante questo, mostrano a volte una sorprendente profondità di concetti, così come eleganza e raffinatezza di contenuti.

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E non si tratta solo di modi diversi di contare, fare le operazioni o prendere misure lineari e piane! Per quanto riguarda l’Africa, infatti, si può iniziare a riflettere, ad esempio, sulla matematica insita e ricollegabile ad una particolare attività grafica svolta dai cantastorie della tradizione popolare di alcune zone dell’Angola (ma anche dell’Asia centro-meridionale). Questi cantastorie accompagnano il loro racconto disegnando sulla sabbia una serie di punti ordinati in forma di tabella e tracciando, in obliquo, una linea continua, con determinate regole e con il fine di racchiudere tutti i punti; i disegni così ottenuti – detti sona – sono poi arricchiti in modo da ottenere figure che si rifanno alla storia raccontata. Bene, il numero di linee necessarie per racchiudere tutti i punti dipende dal numero delle righe e dal numero delle colonne della tabella da essi costituita: è esattamente il loro Massimo Comune Divisore! Al di là della sorpresa di questo risultato, è interessante sapere però che questi cantastorie, per lo più analfabeti, sono capaci di indicare questo numero, il MCD, fin dalla scelta iniziale delle dimensioni della tabella. L’analisi approfondita di questi sona consente inoltre di introdurre e riflettere su altri concetti ed argomenti matematici, quali le simmetrie, la teoria dei grafi, la somma di successioni numeriche. 

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Così come per altre conoscenze matematiche indigene, l’interesse in chiave didattico-educativa dei sona va però ben al di là dei confini geografici e culturali in cui sono utilizzati. In questo senso sono stati predisposti dei moduli didattici specifici che, anche attraverso l’uso di appositi software grafici, mostra come sia possibile creare un ponte fra culture e contesti educativi diversi e lontani e fra conoscenze indigeno-rurali e scientifico-tecnologiche. 
 Analoghe sorprese si hanno anche quando ci spostiamo sulle coste africane che si affacciano sull’Oceano Indiano, in particolare in Somalia. Qua è di grande interesse la tecnica adottata dai mediatori di bestiame per comunicare fra loro il prezzo offerto e richiesto. Le loro mani vengono nascoste sotto una coperta e la comunicazione numerica, di natura esclusivamente tattile, procede in maniera alternata indicando ciascuna cifra del prezzo, in successione ed in ordine, nel seguente modo:

  • 1, 4 e 7 stringendo la prima nocca, rispettivamente, del dito mignolo, dell’anulare e del medio;
  • 2, 5 e 8 stringendo la seconda nocca, rispettivamente, del dito mignolo, dell’anulare e del medio;
  • 3, 6 e 9 stringendo, rispettivamente, l’intero dito mignolo, il mignolo con l’anulare ed il mignolo con l’anulare ed il medio.

Al di là dell’aspetto, diciamo così, folcloristico della situazione, uno studio più attento della tecnica di comunicazione rivela però chiaramente la capacità dei mediatori di rendere più agile e rapida la trattativa grazie, sostanzialmente, alla conoscenza non solo della rappresentazione posizionale dei numeri, ma anche delle nozioni di arrotondamento, approssimazione, ordine di grandezza, cifre significative di un numero. Queste conoscenze consentono loro, fra l’altro, di poter fare a meno dello zero!

Sempre in Somalia, è interessante riflettere sul testo di una favola tradizionale in cui uno sciacallo propone di spartire fra il leone, da una parte, e gli altri animali della foresta, dall’altra, il corpo di un cammello ucciso: al leone spetterà la metà della preda, poi la metà della metà, quindi la metà della metà della metà e così di seguito. La proposta viene pienamente accettata sia dal leone, che comprende che in questo modo avrà l’intera preda, che dagli altri animali, che pensano invece, ingenuamente, di avere alla fine qualcosa. La realtà è che lo scaltro sciacallo preferisce rimanere digiuno, con gli altri animali, piuttosto che incorrere nelle ire del prepotente leone. Beh, lo sciacallo conosce bene alcune nozioni di base dell’analisi infinitesimale! Non solo, infatti, ha presente la nozione di infinito, ma è consapevole del fatto che sommando ½, ¼, 1/8, 1/16 ed iterando l’operazione all’infinito si ottiene come risultato 1, l’unità. In linguaggio matematico si direbbe: la somma della serie geometrica di ragione ½ è uguale a 1.

La lavorazione della paglia (cappelli, borse, ceste…) è ampiamente diffusa in Africa. Le mani delle numerose donne che vi si dedicano sono guidate certamente dall’esperienza, ma le tecniche da loro utilizzate per creare disegni e motivi ornamentali presuppongono una buona conoscenza e una grande capacità di utilizzare figure e trasformazioni geometriche, quali le simmetrie, le traslazioni, le rotazioni, le similitudini …

Abbiamo prima detto che fra le categorie di attività matematiche tramite le quali ogni gruppo culturale sviluppa le proprie conoscenze matematiche, la propria matematica, vi è il giocare. Certamente, giocare è fare matematica! Infatti si richiede di conoscere e rispettare regole (assiomi), prefigurare possibili situazioni (ipotesi), perseguire obiettivi (tesi), elaborare strategie (dimostrazioni), ecc. Come spesso accade in culture senza un eccesso di stimoli esterni (TV, cinema, computer), in molte popolazioni africane il gioco, nelle sue diverse (anche semplici) espressioni, è un’attività ancora molto diffusa ed ha un ruolo sociale significativo. L’attenzione di molti studiosi di matematica, soprattutto di alcuni Paesi dell’Africa sub-equatoriale (come il Mozambico ed il Sud Africa), si è pertanto concentrato su questa attività. In particolare sono stati studiati i concetti matematici associati ad alcuni fra i giochi più diffusi, quali: costruzione di figure con corde, three-in-a-row (filetto), mancala (una sorta di dama, giocata su una tavoletta con una serie di buchette in cui i due avversari devono collocare le loro biglie). Anche per questi giochi si sono studiati possibili sviluppi ed implicazioni a livello didattico.

Quando si parla di un continente vasto come l’Africa, le cui numerose culture sono ancora in gran parte sconosciute nei loro aspetti di dettaglio (sia pure di grande rilievo come la matematica), è facile correre il rischio di essere e di apparire parziali se non superficiali. Qua, si è voluto dare solo un’idea di ciò che, in Africa, si può trovare e valorizzare in una prospettiva socio-educativa non solo limitata a quel contesto geografico ma anche a quello in cui viviamo.

 

 

Riporto qui di eseguito due esempi di

giochi  matematici africani 

 

                      Dama tuareg

La dama tuareg è un gioco praticato dai Tuareg nel deserto e simile a quello che in Italia viene chiamato tria (Veneto) o tris o grisia (Piemonte). La denominazione utilizzata dai Tuareg stessi per questo gioco è dära (presso i tuareg del sud, apparentemente prestito dall’hausa) o kera (tuareg del nord, parola che significa “tre”). Nonostante il nome, il gioco si avvicina più a quello del mulino che a quello della dama.

Materiale occorrente

Il gioco si svolge tra due giocatori, e sembra praticato

solamente tra maschi. Per iniziare, si disegna sulla sabbia

la tavola da gioco disponendo per righe e per colonne un

determinato numero di buche e ci si procura le pedine, in numero di 12 per ogni giocatore (generalmente si usano

escrementi secchi di cammello, pezzetti di carbonella,

legnetti). Il numero di caselle (buche, in tuareg anu

“pozzo”) è variabile. La versione più diffusa, secondo

Bernus, è di trenta caselle (6 x 5), ma ne esistono anche di

42 caselle (ad esempio quella descritta da Foucauld, con

18 pedine per giocatore).

Svolgimento del gioco

Il gioco si compone di due fasi. Nella prima, i due giocatori dispongono a turno le 12 pedine sulla scacchiera, facendo attenzione a non allinearne mai tre una accanto all’altra (se un giocatore lo fa, per inavvertenza, viene richiamato con la frase “sei entrato nella tenda di tua suocera”: un gesto non consentito dalle norme di comportamento tuareg).

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Poi ha inizio la seconda fase, in cui, a turno, ogni giocatore sposta una pedina alla volta in una casella libera adiacente, in orizzontale o in verticale (non in diagonale). Ogni volta che un giocatore riesce a disporre tre pedine in fila (e non più di tre) ne “mangia” una dell’avversario a piacere (se ne elimina dal gioco una soltanto anche se nella stessa mossa si produce più di un allineamento di tre pedine). Vince chi lascia l’avversario con 2 pedine.

Punteggio

Chi vince una mano (äddal, “gioco”) acquisisce un punto (2 se l’avversario non è riuscito a fare neanche un allineamento), e per stabilire il vincitore finale questi punti non vengono semplicemente sommati, ma si ha un meccanismo di conteggio analogo a quello del tennis (gioco/game – partita/set – incontro/match). Chi colleziona 4 punti è vincitore di una “partita” (äddal meqqerän, lett. “grande gioco”), e per le “partite” successive il computo dei punti riparte da zero per entrambi. L’incontro termina quando un giocatore raggiunge per primo un numero di “partite” vittoriose fissato in precedenza.

Terminologia

Come ha osservato Bernus (1975), la terminologia usata nel corso del gioco è calcata su quella della società tradizionale tuareg, improntata alla vita nomade dell’allevatore.

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Due buone combinazioni del gioco: la pedina in rosso è la tebagawt. Spostandola su e giù ad ogni mossa completa una serie di tre pedine.

Quando uno vince una giocata si dice che ila alem “ha un cammello“, mentre ogni partita rappresenta okkoz imenas “quattro cammelli”. Quando un giocatore non riesce ad impedire all’altro di spostare la pedina in una casella (anu, “pozzo”) che permette l’allineamento, gli dice eshishweq-q aman “ti ho lasciato bere”. Viceversa, di chi non riesce a segnare neanche un allineamento si dice che war ishwa (“non ha bevuto”), o aghraf, cioè “ha passato tutta la giornata senza abbeverarsi” (termine specifico per il bestiame).

Inoltre, quando si verifica una determinata posizione dei pezzi, che permette ad un giocatore di allineare tre pedine ad ogni mossa, semplicemente ripetendo lo stesso movimento avanti e indietro (vedi figura), la pedina che, spostandosi, permette queste combinazioni, è detta tebagawt “giumenta”, e l’azione di spostarla avanti e indietro è asri, letteralmente “far galoppare”. L’avversario cercherà allora di aghtes tebagawt lett. “tagliare la giumenta”, il che si può intendere sia nel senso di “tagliarle la strada” sia in quello di “tagliarle i garretti”.

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   Questo gioco è molto interessante ,

 

   ne ho una confezione a casa,

 

   reperto di uno dei  miei viaggi , 

 

     Costa D’Avorio

                        

     Il   Mancala

CONOSCIUTO ANCHE COME AWALLE’ NELLA LAGUNA DI ABIDJIAN AI CONFINI CON IL GHANA

Awalé[1]

Tavoliere e pezzi

 

La forma più diffusa di tavoliere da Mancala II: 2×6, con due spazi laterali (granai) in cui deporre i pezzi catturati

 

Tavoliere da Wari della Costa d’Avorio, con i tradizionali semi di caesalpinia usati come pezzi

Un insolito tavoliere da Wari circolare (forse originario del Camerun)

I mancala sono basati su un tavoliere piuttosto semplice, con una serie di buche solitamente dette case (o pozzi), disposte in un certo numero di file (solitamente due o quattro) di pari lunghezza. Il numero di case per fila è anch’esso variabile; le varianti più frequenti sono 6, 8 o 10. In alcuni casi, alle estremità del tavoliere sono presenti buche più grandi dette granai, che possono servire per riporvi i pezzi a fine partita o le catture (vedi più avanti); i granai hanno anche una funzione esplicita nelle regole di alcuni giochi. Il tavoliere può essere fatto di legno o di qualsiasi altro materiale, o semplicemente essere realizzato scavando le buche nella sabbia.

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I pezzi sono normalmente semi; in Africa e Centroamerica si usano soprattutto semi di alberi del genere caesalpinia, per esempio della ceasalpinia bonduc (che ad Antigua viene chiamato “albero del Warri”). In alternativa si possono usare fagioli, pietre, piccole conchiglie o altri oggetti di dimensioni analoghe. I pezzi sono tutti uguali e vengono piazzati nelle case. Il modo in cui i pezzi sono piazzati inizialmente nelle case è estremamente variabile, e in molti casi non è neppure chiaro se la collocazione iniziale debba considerarsi parte delle regole del gioco o se i giocatori siano liberi di sceglierla a piacere (in modo analogo a quello in cui, in alcuni giochi di carte come il dernier, il mazziere decide liberamente il numero di carte da distribuire a ogni giocatore).Nei tavolieri a due file, ogni giocatore possiede la fila più vicina, ma i pezzi possono essere spostati da una fila all’altra; nei tavolieri a quattro file, ogni giocatore possiede le due file più vicine, e solitamente muove i propri pezzi solo nell’ambito delle proprie file.

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Come si svolge il gioco?

 I giocatori muovono a turno. La dinamica generale della mossa, che    viene spesso detta semina, consiste nel prelevare tutti i pezzi presenti in una certa casa (di solito scelta fra quelle di proprietà del giocatore e occupate da un certo numero minimo di pezzi), e depositarli nelle case adiacenti, uno per casa. Se la semina non si conclude nella fila in cui ha avuto inizio, essa prosegue in un’altra fila, tipicamente descrivendo un movimento circolare antiorario. Così, una semina procede generalmente verso destra nella fila più vicina al giocatore e, arrivata al termine della fila, prosegue nella fila adiacente da destra verso sinistra. Nei mancala a due file, il movimento può attraversare l’intero tavoliere; in quelli a quattro, esso è limitato alle due file di proprietà del giocatore che sta muovendo.Lo scopo generale della semina è di solito la cattura, ovvero l’acquisizione, o eliminazione dal gioco, di pezzi dell’avversario. Le regole della cattura sono uno degli aspetti più variabili. In alcuni giochi, per esempio, una semina che termini in una casa avversaria porta alla cattura dei pezzi presenti in quella casa; oppure, una semina che termini in una casa vuota comporta la cattura dei pezzi presenti nella casa avversaria antistante In altri casi ancora, vengono catturati i pezzi presenti nelle case che, in seguito alla semina, vengono a contenere un certo numero di pezzi.I semi catturati vengono talvolta eliminati dal gioco e talvolta deposti nelle file del giocatore che ha eseguito la cattura. Nei giochi in cui le file terminano in un granaio (una casa più grande), questo ha di solito la funzione di accogliere i pezzi catturati. In genere (per esempio in tutte le varianti giocate in Africa a nord del Sahara), il granaio può essere comunque visitato dalle semine come qualunque altra casa.Quando il gioco termina perché tutte le case di un giocatore sono vuote, si parla di carestia.In molti mancala esiste anche la possibilità che il gioco termini in una situazione di stallo, ovvero in cui le mosse possibili si ripetono all’infinito, in una sequenza “circolare”. In tal caso, spetta ai giocatori decretare che il gioco è concluso (ed eventualmente procedere al conteggio dei pezzi catturati).

 imagesCA9LZZSLAlcune regole curiose

Sebbene in molti mancala l’obiettivo del gioco sia quello di rubare tutti i pezzi all’avversario, ottenendo una vittoria per carestia, molti mancala vietano esplicitamente mosse che portino alla carestia dell’avversario, a meno che tali mosse non siano obbligate (ovvero, che non vi siano alternative).Di solito la sconfitta per carestia viene decretata all’inizio del turno del giocatore sconfitto; in questo caso, se un giocatore termina il proprio turno in situazione di carestia (avendo compiuto una semina che ha portato tutti i suoi pezzi nelle file dell’avversario), la sconfitta può essere ancora evitata se l’altro giocatore, al proprio turno, esegue una semina che riporta alcuni semi nelle file del giocatore in carestia, salvandolo dunque in extremis. In moltissimi mancala, anzi, questo salvataggio in extremis dell’avversario (detto dar da mangiare) è obbligatorio se possibile. Non è difficile leggere in questa regola tracce di una filosofia di solidarietà nelle civiltà agricole in cui i mancala hanno avuto origine.

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NUOVE SCOPERTE SPAZIALI

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ECCO IL LINK AD UN BLOG MOLTO INTERESSANTE  AGGIORNATO SULLE ULTIME SCOPERTE SPAZIALI CON NOTIZIE ED ALTRE CURIOSITA’

http://newsspazio.blogspot.it/

INTANTO IO VORREI OCCUPARMI DI  MISURE GEOMETRICHE  DI CUI HO LETTO IN MOLTI LIBRI DI FANTASCIENZA, GENERE DI CUI SONO MOLTO APPASSIONATO,

 NON  PENSAVO ESISTESSE VERAMENTE  INVECE CON SORPRESA HO SCOPERTO CHE VIENE USATO COSì COME VENGONO USATE ALTRE MISURE PER CALCOLARE LE DISTANZE SPAZIALI ED INTERGALATTICHE ; COMINCIAMO ALLORA A SCOPRIRE QUALCHE COSA DI PIU  SU QUESTE  MISURAZIONI  PARTENDO DAL PIù USATO 

                                                      PARSEC

COMINCIAMO  CON UNA DEFINIZIONE DA DIZIONARIO:

 http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=parsec%20definizione&source=web&cd=2&cad=rja&ved=0CEcQFjAB&url=http%3A%2F%2Fdizionari.corriere.it%2Fdizionario_italiano%2FP%2Fparsec.shtml&ei=gp_xUKv0KozktQbQ1ICwCw&usg=AFQjCNHotbhtv4iYSVmH8HYSR3jckmqmiw&bvm=bv.1357700187,d.Yms

parsec

[pàr-sec] s.m. inv.

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Con questo metodo NON si misurano direttamente le distanze ma gli ANGOLI, è da questi che è possibile risalire, sfruttando l’effetto della proiezione sullo sfondo, al dato fisico della distanza. In astronomia quello che è determinante è la scelta della lunghezza di base
stabilito l’angolo di parallasse come sopra indicato, passiamo ora svolgere le operazioni per stabilire la lunghezza della parallasse tramite l’unità delle misure, il (parsec). SIGNIFICANDO CHE IL PARSEC NON E’ ALTRO CHE LA DIMENSIONE DELLA LUNGHEZZA DI QUESTA PARALLASSE,

 guarda questo procedimento di come si rileva la distanza di una stella:
Supponi di conoscere tutti i dati riguardanti il triangolo ABC: lunghezza dei lati, altezza CH e misura degli angoli p e q. Puoi allora utilizzare questo triangolo per misurare la grandezza FG. Infatti i due triangoli nella figura sono simili: hanno gli stessi angoli p e q.

Due triangoli simili hanno una caratteristica importante: il rapporto tra le lunghezze di due lati qualsiasi è lo stesso in un triangolo e nell’altro. Se conosciamo la misura della base del secondo triangolo, cioè DE, possiamo conoscere anche FG. Infatti, per la proprietà dei triangoli simili, sarà:
FG       CH
—- = —–                       
DE       AB
Questa proprietà viene usata dagli astronomi per misurare la distanza di una stella,
che in un procedimento analogo chiameremo PARSEC.

 

NE DERIVA ALLORA UN ALTRA DOMANDA  COS’è ALLORA LA PARALLASSE SECONDO?

 MI RIVOLGO AD UN ALTRO BLOG  PER LA RISPOSTA:

 

Il metodo della Parallasse

Si tratta della tecnica più nota tra quelle utilizzate in campo astronomico per le distanze di stelle e pianeti “vicini”.
È molto semplice in quanto permette, dati:
-l’angolo P con cui si vede sullo sfondo un oggetto
-la lunghezza di base A tra i due punti di vista
-la distanza D dall’oggetto di ricavare la distanza D mediante una semplice formula trigonometrica:
D=(A/2)tang (P”)
con l’angolo misurato P, ad esempio, in secondi di arco.

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(NOTA):Gli astronomi usano spesso come unità di misura delle distanze il parsec.
Parsec” è l’abbreviazione di “parallasse secondo” ed è la distanza dalla quale si vede il raggio dell’orbita terrestre esattamente sotto un angolo di 1 secondo d’arco. 1 parsec equivale a 3,26 anni luce.
.
CON LA PERPEDICOLARE IN EVIDENZA “D= 1 PARSEC”, POSSIAMO NOTARE LA DISTANZA DATA DAL SOLE ALLA STELLA.

MQA RIPETIAMO CON ALTRE INFORMAZIONI ANCORA PIù COMPLETE E CHE VANNO OLTRE A QUELLE DEL BLOG ….

http://www.skylive.it/default.aspx?aspxerrorpath=/Astrofisica/Astrofisica_Misura_Delle_Distanze_Astronomiche.aspx

Il calcolo delle distanze astronomiche

Calcolare la distanza di una stella o comunque di un corpo celeste è un problema nato relativamente da poco: dal momento che l’occhio umano non riesce a distinguere la distanza di due corpi molto distanti, a lungo si è pensato che le stelle fisse appartenessero tutte alla stessa sfera, risultando quindi alla stessa distanza.
Questo, come sappiamo, non è vero quindi calcolare le distanze oggi ha interessi di varia natura, compreso quello di determinare l’età dell’universo. Calcolare la distanza di un oggetto nel cielo è oggi necessario: una stella può apparire più luminosa di un’altra soltanto perché più vicina a noi rispetto alla seconda, pur risultando intrinsecamente molto meno brillante – in termini assoluti – di essa.  imagesCAZMV895
Così come le unità di misura cambiano in base alle distanze in gioco, anche i metodi di calcolo sono differenti in base allo stesso parametro, secondo il modello della “scala delle distanze cosmiche“: ogni gradino della scala, corrispondente a distanze maggiori, utilizza un metodo differente. Ad ogni gradino viene introdotto un errore di stima che viene propagato al gradino successivo sottoforma di errore sistematico. Non esiste un metodo univocamente accettato come “migliore”, almeno per le distanze più grandi. Per ciascuna distanza, in pratica, è preferibile utilizzare un determinato metodo anziché un altro perché si compie un errore sistematico minore.

ScalaIl metodo di calcolo varia in base alla scala delle distanze

IL METODO DEL RADAR RANGING E LA TELEMETRIA LASER
All’interno del Sistema Solare il metodo di calcolo delle distanze maggiormente utilizzato perché possibile, date le distanze ridotte, è quello del radar ranging, consistente nel calcolo del tempo di andata e ritorno di un raggio radio sparato verso un oggetto e da questo riflesso verso il punto di partenza. La possibilità è offerta dalle distanze che, per quanto “astronomiche” sono oggi alla portata della strumentazione terrestre. Basti pensare che le sonde Voyager stanno uscendo, nel 2010, dall’eliosfera: sparando un raggio radio verso una sonda in orbita intorno ad un pianeta solare consente di stabilire con ottima approssimazione la distanza del pianeta stesso, conoscendo la distanza della sonda dal pianeta.

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 L’Unità Astronomica come unità di base è stata calcolata misurando il tempo di andata e ritorno di un segnale radio molto potente, riflesso dalla superficie di Venere; la distanza dal Sole viene poi calcolata tramite triangolazione Terra-Venere-Sole. L’uso del radar in astronomia esige una potenza elevata in emissione ed una sensibilità molto spinta nella ricezione degli echi, per questo la tecnoligia radar può essere utilizzata soltanto nel Sistema Solare. Nel 1946 due ingegneri americani, De Witt e Stodola, hanno ottenuto per la prima volta un eco radar dalla Luna, mentre nel 1961 si è ottenuto una eco da Venere, oltre cento volte più lontano.
In effetti già in epoca pre-tecnologica si era provato a calcolare la distanza Terra-Sole utilizzando una pura e semplice geometria, ma il metodo più vicino alla misura realistica sfruttava l’osservazione del transito di Venere sul disco solare osservato da due punti diversi della superficie terrestre, usando quindi il raggio del nostro pianeta come base.

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                                                                                                                                                                                                                                                     Per distanze ancora minori, come quella che ci separa dalla Luna, la tecnologia è ancora più precisa. Già Aristarco ed Ipparco tentarono misurazioni trigonometriche basate sul diametro terrestre. 

                                                                                               Metodo di calcolo della distanza Terra-Luna

Sapendo che la Luna impiega circa un’ora a percorrere lo spazio del suo diametro apparente, di circa mezzo grado,        misurando il tempo che la Luna stessa impiega a percorrere la totalità dell’ombra terrestre durante una eclisse si             ricava il raggio della Luna. Dal momento che la distanza a cui un oggetto deve trovarsi per occupare un angolo visuale  di mezzo grado è di circa 120 volte la propria grandezza, la distanza Terra-Luna è di circa un quarto del diametro         terrestre moltiplicato per 120, quindi circa 30 diametri terrestri. In realtà nell’effettuare i calcoli sia Aristarco sia         Ipparco, successicamente, sbagliarono la misura degli angoli, e quindi anche le misure effettive. La correzione porTA ad una misura maggiore del 7% di quella calcolata.
                         Ne sono passati di anni da quei tentativi. La misura che conosciamo oggi è stata ottenuta con altri metodi, e precisamente con la telemetria laser. Le missioni Apollo hanno lasciato sul suolo lunare dei riflettori. Puntando questi riflettori con dei laser e calcolando il tempo impiegato dal raggio stesso ad andare e tornare è stato calcolata una distanza media di 384.400 chilometri. Non esiste una distanza assoluta per perigeo ed apogeo, dal momento che le orbite sono sempre differenti. Ciò che è possibile definire è sempre e soltanto una distanza media.
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LE PARALLASSI: STELLARE (o trigonometrica), SPETTROSCOPICA
Il valore di parallasse è una misura di distanza di un corpo celeste dalla Terra.

La parallasse è, per un dato astro, l’angolo sotto il quale si vedrebbe, da questo astro, una lunghezza convenzionale situata alla distanza della Terra.
La lunghezza convenzionale scelta è il raggio dell’equatore terrestre per gli oggetti più vicini (parallasse diurna, legata alla rotazione terrestre) oppure il raggio dell’orbita terrestre (parallasse annua, per gli oggetti lontani, legata alla rivoluzione terrestre).
 
ParallasseStellarecropped-pict0077.jpg                                                                          Rappresentazione del metodo della parallasse

Si tratta, sotto altro punto di vista, della misura angolare di una stella osservata da due differenti posizioni lungo l’equatore terrestre o lungo l’orbita terrestre. La stella, vista dai due punti differenti, avrà una posizione differente rispetto alle stelle più lontane e più “immobili” sulla sfera celeste.
Immaginiamo di affacciarci al balcone e guardare un albero tenendo aperto il solo occhio destro. Ci appare in una posizione. Ora, restiamo allo stesso punto e guardiamo lo stesso albero solo con l’occhio sinistro: ci appare in un punto diverso. La parallasse si basa su questo fenomeno: un punto osservato da due posizioni differenti appare in punti differenti pur rimanendo, in realtà, fermo. Ciò significa che per calcolare la parallasse bisogna trovarsi in due punti differenti, e maggiore è lo spostamento dell’oggetto e minore sarà la sua distanza. La parallasse sarebbe la distanza angolare dei nostri occhi vista dall’albero.
Nel disegno, i due punti differenti sono forniti dalla rivoluzione terrestre nei punti raggiunti ogni sei mesi, a Gennaio e Luglio, che – con un diametro orbitale di circa 300 milioni di chilometri, consente una buona stima. E’ il metodo della parallasse annua, utilizzata per le stelle più distanti.
Durante la rivoluzione, la stella rimane ferma ma la Terra, muovendosi, la fa apparire in movimento, facendole assumere per la precisione un movimento ellittico (proprio perché la Terra segue una ellisse).
Nel punto orbitale di Gennaio, la stella appare nella posizione a destra, mentre nel punto di Luglio, che si verifica dopo sei mesi (mezzo giro di rivoluzione terrestre) appare a sinistra, dopo aver percorso una semi-ellisse.
Tuttavia la stella è sempre fissa nel suo punto centrale, al netto del suo moto proprio comunque quasi impercettibile a distanza di sei mesi da una osservazione al’altra (sei mesi è il tempo necessario alla Terra per spostarsi da un punto dell’orbita al punto diametralmente opposto).
Una volta calcolati i punti posizionali apparenti della stella, attraverso calcoli trigonometrici si può calcolare la posizione della stella stessa, e l’angolo che la sua proiezione verticale forma con il piano dell’eclittica terrestre è chiamato Angolo di Parallasse. Se ci trovassimo sulla stella, l’angolo sarebbe quello sotto il quale sarebbe possibile vedere il raggio dell’orbita terrestre, il che rispecchia in pieno la definizione iniziale di parallasse (annua, in questo caso).
L’angolo di parallasse si misura in secondi d’arco (1”) ed ogni parallasse calcolata sarà inferiore a 1”.

DISTANZA DELLA STELLA IN PARSEC ED IN ANNI LUCE NOTA LA PARALLASSE
Se una stella ha una parallasse annua (con base di 1 UA) di 1 arcosecondo, sarà distante 1 Parsec, che infatti è proprio definito come la “distanza di un oggetto che ha parallasse pari ad un arcosecondo“. In altri termini, dall’oggetto la distanza della Terra dal Sole risulterebbe di un arcosecondo.La distanza di una stella in Parsec è data dal reciproco della sua parallasse: d = 1/p dove d è la distanza misurata in parsec e p è l’angolo di parallasse espresso in arcosecondi.Proxima Centauri, la stella più vicina alla Terra, ha una parallasse di 0,765”. Più la stella è lontana, più il valore decresce. Con riferimento al disegno, la distanza è data dal rapporto tra UA ed angolo di parallasse. Nel caso di Proxima Centauri, quindi, la distanza è data da 1/0,765, con il risultato che la stella si trova a circa 1,31 Parsec. Sirio, la stella più brillante del cielo, ha una parallasse di 0,379 arcosecondi, quindi si trova ad una distanza di 2,63 parsec. Volendo continuare, 1 parsec è pari a 3,26 anni luce, quindi Sirio si trova alla distanza di 2,63×3,26 = 8,6 anni luce.Con l’esempio dell’albero, più l’albero è lontano e meno possiamo vedere differenze tra la visuale con l’occhio destro e con l’occhio sinistro. In pratica, più il corpo celeste è distante e meno vedremo spostamenti pur utilizzando una distanza grande come la parallasse annua (la riprova è data dai cerchi percorsi dalla stella nel disegno, nei casi 1 e 2, che mostrano un movimento più marcato per la stella del caso 2, più vicina alla Terra). In quei casi, saremo costretti ad utilizzare altri metodi di determinazione delle distanze.

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In effetti le distanze nell’Universo sono i dati meno sicuri: il metodo di parallasse fornisce un errore del 3% per stelle entro i 10 anni luce, del 10% per stelle entro i 30 anni luce e del 30% per stelle entro i 100 anni luce.
Più in là con le distanze non avrebbe senso andare, dal momento che l’errore diventerebbe intollerabile. In pratica, le stelle si muoverebbero sempre di meno rispetto allo sfondo delle stelle lontanissime e fisse e la misura che ne otterremmo sarebbe sbagliata. Oltre i 1000 anni luce il calcolo è pressoché impossibile anche per satelliti astrometrici come Hypparcos.
Tuttavia esiste un’altra base che viene a volte presa in considerazione e che dà vita alla cosiddetta parallasse secolare: consiste nella misurazione dell’angolo parallattico di una stella utilizzando come base (non il diametro terrestre né l’orbita terrestre ma) un tratto del moto proprio del Sole nella Galassia. Più la base è grande, più si è in grado di riconoscere gli angoli parallattici formati   da oggetti sempre più lontani                                                                                                                                                                                     imagesCA0TPI9C

Ma quali sono le cause dei margini di errore delle misurazioni terrestri di parallasse? Fondamentalmente la rifrazione atmosferica e la possibilità che gli strumenti di osservazione stessi soffrano di leggere deformazioni agli specchi causati dal loro stesso peso. Ovviare a questi inconvenienti è possibile soltanto piazzando uno strumento d’osservazione direttamente fuori dall’atmosfera terrestre, nello spazio, in orbita, in modo tale da annullare il fenomeno della turbolenza atmosferica e della forza peso degli strumenti. Il già citato Hypparcos è proprio un esempio di questi satelliti.
Resta il fatto – tuttavia – che il metodo della parallasse è l’unico che consente di calcolare le distanze senza bisogno di fare supposizioni riguardo la natura e la composizione dell’oggetto analizzato, come vedremo parlando degli altri metodi.

61Cyg: LA PRIMA DISTANZA MISURATA
Tramite un buon telescopio munito di micrometro filare, nel 1838, F. W. Bessel riuscì a misurare la parallasse di 61 Cygni, stella che precedentemente fu segnalata per un marcato moto proprio (velocità apparente nel cielo rispetto alle altre stelle), e che poteva quindi essere considerata tra gli oggetti extrasolari più vicini. Bessel annunciò, dopo 4 anni di osservazioni, che la 61 Cygni possedeva una parallasse di 0.316”, contro l’attuale valore accertato di 0.34”. Inserendo il dato ricavato strumentalmente nella formula poco sopra illustrata otteniamo una distanza pari a (1/0,316)Pc, cioè 3,16 pc, pari a 10,3 anni luce. Bessel poté quindi stabilire che la 61 Cygni si trovava ad una distanza di circa 10 anni luce dalla terra. Questa fu la prima misurazione di distanza effettuata dall’uomo nei riguardi delle stelle.

A completare il quadro delle parallassi esiste la parallasse spettroscopica, anche se la sua precisione non è elevatissima. Hertzsprung, l’ideatore con Russell del diagramma HR , notò che stelle appartenenti alla stessa classe spettrale come le giganti o le stelle di sequenza principale possedevano spettri con differenti intensità in alcune righe. Un lavoro del 1943, firmato da Morgan e Keegan, catalogava 55 spettri stellari basato non più su classe e luminosità ma sulle caratteristiche spettrali. Inseriti gli oggetti nel nuovo diagramma così elaborato, era immediato risalire alla loro magnitudine assoluta e, avendo quella apparente, era ancora più immediato ottenerne il modulo della distanza. La parallasse spettroscopica è arrivata laddove quella trigonometrica non è riuscita, ma presenta un fattore di errore molto elevato.

IL METODO DEL MAIN SEQUENCE FITTING (Aggiustamento della Sequenza Principale)

Metodo del Main Sequence FittingIl metodo dell’Aggiustamento della Sequenza Principale si basa sullo scostamento rispetto a dei valori ben noti.

Le stelle appartenenti ad un ammasso aperto sono più o meno poste alla stessa distanza da noi ed hanno più o meno la stessa età. Possiamo prendere vantaggio da questo fatto e mettere in relazione la magnitudine apparente delle stelle con il colore delle stesse, ottenendo un grafico simile a quello del Diagramma HR con la differenza che l’asse verticale rappresenta la magnitudine apparente e non quella assoluta. Non è un grave errore dal momento che, essendo le stelle dell’ammasso poste alla stessa distanza da noi, la differenza tra magnitudine assoluta e magnitudine apparente sarà più o meno la stessa per ciascuna di esse. E’ possibile a questo punto sovrapporre il diagramma ottenuto ad un diagramma HR classico, che usa le magnitudini assolute, e calcolato in maniera ben precisa, e spostare il primo sul secondo fino a che i due percorsi si allineino.imagesCASL04Z0  Un ammasso spesso preso come riferimento è quello delle Iadi, nel Toro, le cui distanze sono state calcolate precisamente con il metodo della parallasse. La magnitudine assoluta delle stelle del’ammasso a questo punto è nota, e la distanza può essere calcolata tramite la formula delle candele standard: 

d = 10 (m-M+5)/5

dove m è la magnitudine apparente, M è quella assoluta e d è la distanza cercata.

Il metodo del Main Sequence Fitting ottiene la distanza delle stelle di un ammasso aperto comparando le magnitudini apparenti con le magnitudini assolute di un altro ammasso aperto di cui è nota la distanza. Una volta trovata la sovrapponibilità dei due diagrammi relativi, è possibile estrarre la distanza tramite la formula delle candele standard.

Il metodo è simile, come si nota, a quello della parallasse spettroscopica con una differenza sostanziale: la parallasse spettroscopica si applica ad una sola stella mentre questo metodo è applicato a tutte le stelle di un ammasso aperto.

IL METODO DELLE CEFEIDI
Per distanze superiori, la parallasse viene rimpiazzata da altri metodi. 
Il principio base della parallassi spettroscopica, come visto, sta nel fatto che se due stelle hanno la stessa magnitudine assoluta, analizzando la differenza di magnitudine apparente si riesce a capire la distanza della stella più lontana partendo dalla distanza nota della stella più vicina. Note le distanze degli astri dalla Terra, si può passare da una magnitudine relativa a quella assoluta attravero una formula (l’intensità della luce diminuisce con il quadrato della distanza), e di conseguenza è possibile fare il contrario.
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Alcune stelle, appartenenti ad una specifica classe (come ad esempio le Cefeidi ma anche le RR Lyrae) sono caratterizzate da una magnitudine assoluta orientativamente uguale e vengono quindi utilizzate come candele. Se si scopre che all’interno di una galassia o da qualche parte dell’Universo è presente una stella di un tipo conosciuto, quindi, si può dare per certa la magnitudine assoluta della stella e, verificando quale è quella apparente, ottenere la distanza della stella e conseguentemente di tutta la galassia che la contiene. Il metodo è abbastanza preciso, anche se a minarlo concorre un fattore rilevante come la possibilità che la luce della stella lontana sia in qualche modo modificata dalla polvere intergalattica: eventuali banchi di questa polvere potrebbero far apparire la stella meno brillante di quanto in realtà sia, con il rischio di sovrastimare la sua lontananza.

Il metodo delle Cefeidi ottiene la distanza di una stella di tipo Cefeide oppure di una galassia nella quale sono presenti Cefeidi sulla base della magnitudine apparente delle cefeidi stesse. Nota la variabilità e quindi la magnitudine assoluta delle stelle, è facile risalire alla distanza sulla base della magnitudine apparente.

La formula per trasformare la differenza di magnitudini in distanza è sempre quella delle candele standard:

d = 10 (m-M+5)/5

dove m è la magnitudine apparente, M è quella assoluta e d è la distanza cercata.

Il metodo delle Cefeidi è valido fino a circa cento milioni di anni luce (con le riprese dello Hubble Space Telescope, visto che da Terra non si andrebbe oltre i 13 milioni di anni luce), o almeno questo era valido fino al 2009. Le Cefeidi sono stelle il cui periodo di variabilità è legato alla luminosità: maggiore è quest’ultima e maggiore è il periodo di variabilità.

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Oltre la distanza indicata in precedenza, cioè poche decine di milioni di anni luce, le Cefeidi sono troppo deboli per essere osservate nelle loro Galassie quindi il metodo viene meno. Un team di ricercatori ha scoperto, proprio nel 2009, una rara categoria di Cefeidi molto potenti, con masse comprese tra 12 e 20 masse solari, il cui periodo è sempre legato alla potenza in maniera molto precisa e quindi queste stelle possono essere utilizzate come candele per distanze più remote. Con queste nuove candele, infatti,  la distanza può essere misurata fino a 300 milioni di anni luce, con un errore compreso tra il 10 ed il 20%.
 imagesCAVBD0OULe RR Lyrae, invece, si fermano a distanze pari a circa due milioni di anni luce. 

EFFETTO DOPPLER
L’effetto Doppler è un fenomeno molto noto nella realtà quotidiana. Un esempio sarà sicuramente di aiuto. Immaginiamoci sugli spalti di un autodromo ad assistere ad un Gran Premio: mentre la macchina è in avvicinamento le onde sonore sono sempre a maggior frequenza, sempre più corte, e questo rende il rombo del motore acuto, stridulo. Nel momento in cui l’auto ci raggiunge e si allontana, invece, le onde acustiche si dilatano risultando sempre più larghe, con minor frequenza, il che si traduce in un rombo del motore più grave, basso.
L’effetto Doppler è tipico di qualsiasi moto ondulatorio, quindi quanto visto per il suono accade anche per la luce e lo spettro di radiazioni emesse da un corpo celeste visibile. Visibile vuol dire che emette radiazioni sotto qualsiasi lunghezza d’onda, e non solo dal punto di vista della visibilità ottica.

L’effetto doppler stira o comprime le onde emesse dalla sorgente

Se osserviamo un’onda luminosa proveniente da una sorgente ferma, il tempo compreso tra l’arrivo di due creste d’onda successive è lo stesso tempo che passa tra l’emissione delle due onde da parte della sorgente.
Se la sorgente si sta allontanando da noi, invece, ogni onda dovrà percorrere un tratto leggermente superiore rispetto alla precedente: la sorgente emette le due onde sempre con gli stessi intervalli di tempo, ma man mano che la sorgente stessa si allontana le onde giungeranno con un po’ più di ritardo all’osservatore.
Al contrario, quando la sorgente è in avvicinamento ogni onda, emessa esattamente dopo un tempo costante dalla precedente, dovrà percorrere uno spazio minore per giungere all’osservatore, quindi l’osservatore vedrà le onde giungere sempre più frequentemente.

L’effetto Doppler-Fizeau  è il fenomeno che ha luogo allorché una sorgente di vibrazioni (suoni, ultrasuoni) o di irraggiamento elettromagnetico (luce, onde radio, ecc.) di una data frequenza è in movimento rispetto ad un osservatore e che, per quest’ultimo, si manifesta come una modifica della frequenza ricevuta.

L’universo è composto da astri in movimento, quindi è spiegata facilmente l’utilità dell’effetto Doppler in astrofisica. L’effetto fu notato per la prima volta da Johann Christian Doppler nel 1842 e fu confermato per le onde acustiche nel 1845 ponendo una orchestra di trombettisti su un vagone aperto di un treno olandese. In realtà Doppler riteneva che il suo effetto avesse rilevanza per il colore delle stelle, cosa che invece non accade. L’effetto Doppler, però, ha avuto importanza estrema dal punto di vista cosmologico dal momento che ha consentito di stimare l’espansione dell’universo tramite l’applicazione alle righe spettrali scoperte da Joseph Fraunhofer.
In realtà, all’inizio Doppler pensava che questo effetto avesse ripercussioni sul colore delle stelle: la luce delle stelle in allontanamento avrebbe dovuto essere spostata verso tonalità più rosse (lunghezze d’onda maggiori), mentre quella proveniente da stelle in allontanamento, con il restringimento delle onde in arrivo, avrebbe dovuto tendere a colorazioni più blu. Fu Buys-Ballot a fugare questo dubbio: l’effetto Doppler non ha nulla a che vedere con il colore delle stelle visto che, a fronte di uno spostamento nella parte ottica dello spettro, ci sarebbe anche uno spostamento della radiazione ultravioletta, normalmente invisibile, che finirebbe nella sezione azzurra dello spettro (nel caso di stella in allontanamento) andando a pareggiare l’effetto.

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Il “metodo Tully-Fisher” è un indicatore di distanze proposto negli anni Settanta dagli astronomi Brent Tully e Richard Fisher. Sebbene sia limitato alle sole galassie a spirale, si tratta di un metodo largamente utilizzato nella prassi professionale astronomica ed è una delle più valide alternative alla stima delle distanze basate su redshift e luminosità.

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Secondo il modello , la luminosità intrinseca delle galassie a spirale è proporzionale alla quarta potenza della velocità della loro rotazione, quindi esiste una correlazione tra la velocità della rotazione della galassia e la sua luminosità.

Più rapidamente ruota la galassia e maggiore è la quantità di materia che la tiene insieme, e visto che tale velocità è desumibile da osservazioni spettroscopiche ottiche e radio, dalla luminosità apparente si può risalire a quella assoluta e quindi alla distanza. imagesCAQD2WBI

Una nota: il metodo di Tully-Fisher fornisce risultati in aperto contrasto con i dati indicati dal metodo del redshift. Una delle questioni cosmologiche ancora aperte riguarda proprio questa discrepanza: oggi materia oscura ed energia oscura, e quindi anche la stessa espansione dell’universo, sono messi ancora di più alla prova. Del resto lo stesso Hubble nutriva dubbi sulla veridicità dell’espansione dell’universo.

 

METODO DELLE SUPERNOVAE 

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Si è visto come il metodo delle Cefeidi, per quanto soffra di congetture e supposizioni, riesca a dare risultati attendibili entro certe distanze. Oltre queste distanze, anche le ultime Cefeidi di periodo ultralungo – e quindi più potenti – sono troppo deboli per essere scorte. Una “prolunga” alla distanza determinabile con il metodo delle candele standard è fornita da corpi celesti molto più brillanti ma sporadici e temporanei, le supernovae Ia, scatenate da sistemi binari contenenti astri molto massicci che sottraggono massa alla compagna fino a quando non esplodono espellendo il materiale accumulato.
Il metodo è applicabile proprio per la tipologia di fenomeno: la supernova di tipo Ia si innesca in sistemi tipici al raggiungimento di una massa limite, sempre uguale. La luminosità raggiunta in termini assoluti, quindi, è (o meglio dovrebbe essere) sempre la stessa, quindi la magnitudine assoluta può essere considerata nota. 
Le supernovae sono più brillandi delle cefeidi nell’ordine dei miliardi di volte, così possono aiutare a determinare le distanze di galassie molto remote.

Il metodo delle Supernovae Ia ottiene la distanza di una galassia nella quale è esplosa una supernova di tipo Ia. Nota la assoluta della supernova, è facile risalire alla distanza sulla base della magnitudine apparente.

Anche in questo caso, la formula per trasformare la differenza di magnitudini in distanza è sempre quella delle candele standard:

d = 10 (m-M+5)/5

dove m è la magnitudine apparente presa al picco dell’esplosione, M è quella assoluta predetta dal modello e verificata empiricamente e d è la distanza cercata.

LEGGE DI HUBBLE
La Legge di Hubble è una legge empirica enunciata da Edwin Powell Hubble nel 1929, secondo la quale le galassie si muovono ad una velocità di fuga proporzionale alla loro distanza. Ne segue che più una galassia si muove rapidamente verso di noi o lontano da noi, e più questa è distante.

Secondo la  Legge di Hubble le galassie sono animate da una velocità di fuga proporzionale alla loro distanza, quindi maggiore è la velocità di allontanamento e maggiore è la distanza della galassia..

Come appare subito evidente, ci sono aspetti che ancora non conosciamo: come facciamo a sapere se un astro si avvicina o si allontana? E come facciamo a calcolarne la velocità?
Vengono in aiuto due fenomeni: l’effetto Doppler già visto poco più su e le righe spettrali scoperte da Fraunhofer negli spettri stellari e galattici.

Rappresentazione del redshift di una stella

Conoscendo lo spettro di una stella o perlomeno di una categoria di stelle caratterizzate da spettri simili, sappiamo che dobbiamo aspettarci un determinato spettro stellare caratterizzato da righe che rispecchiano gli elementi chimici che compongono l’atmosfera stellare della sorgente. Se la stella fosse ferma, ogni elemento chimico traccerebbe una riga ad una determinata lunghezza d’onda. Per effetto Doppler, se la stella è in allontanamento le righe saranno spostate verso il rosso mentre se la stella è in avvicinamento saranno spostate verso il blu.
Se le righe presenti nella luce della stella sono spostate verso lunghezze d’onda maggiori rispetto alle righe riprodotte in laboratorio dagli stessi elementi chimici che compongono la stella, vuol dire che la stella è in allontanamento. Una lunghezza d’onda maggiore vuol dire uno spostamento verso la parte rossa dello spettro elettromagnetico, e per questo si parla anche di redshift o spostamento verso il rosso.
Se l’oggetto è in avvicinamento, invece, le lunghezze d’onda saranno sempre più corte (frequenza sempre maggiore) andando verso la parte blu dello spettro elettromagnetico. Si parla in tal caso di spostamento verso il blu o di blueshift.

LE FORMULE DELLA LEGGE DI HUBBLE
La Legge di Hubble ha la forma del tipo: v=H0d dove v è la velocità di allontanamento della galassia in esame, da ottenere con analisi spettroscopica, e d è la sua distanza. H0 è la costante di Hubble, ottenuta quindi da una velocità divisa per una distanza, cioè dall’inverso del tempo. La distanza viene fornita dall’analisi comparata del redshift e della costante di Hubble, che indica il tasso di espansione dell’universo ed è espressa in km/s/Mpc.Con i parametri utilizzati nei tempi moderni, quindi, la costante di Hubble risulta dal rapporto tra km/s e Megaparsec. Le galassie si allontanano con una velocità proporzionale alla distanza, quindi più una galassia è lontana e più si allontana velocemente.
Il redshift viene indicato con la lettera z ed è dato da z=??/?0 dove il dividendo è lo spostamento di lunghezza d’onda di una certa riga spettrale ed il divisore è la lunghezza d’onda della stessa riga osservata in laboratorio, e quindi a distanza fissa e nota.
Ad esempio, per una galassia osservata la cui linea dell’elemento H? si trova a 662,9 nanometri anziché ai 656,3 tipici di laboratorio, il redshift è pari a z = (662,9 – 656,3)/656,3 = 0,010.
Per le galassie più vicine, dove z è molto minore di 1, la velocità di movimento può essere calcolata tramite la formula v = c*z, dove c è la velocità della luce, pari a 3×108ms. Ne segue che, per la galassia con redshift 0x010, la velocità di allontanamento è pari a 3000 km/s.Oggi la costante di Hubble è stimata in 74 Km/s per MPc. In realtà, Hubble stimò la velocità in 500 km/s per MPc, ma non aveva tutti gli strumenti che abbiamo oggi per essere più precisi.Ad esempio, la distanza della galassia precedentemente introdotta (con z=0,010 e veloce 3000 km/s) si trova ad una distanza d di (v/H0) = 3000 / 74 = 40,54 Mpc e visto che 1 Mpc = 3,26 milioni di anni luce, la galassia si trova alla distanza di 140 milioni di anni luce da noi.

Proprio attraverso l’analisi degli spettri di galassie lontane, che denotavano valori di redshift più o meno alti, si è potuto capire che l’universo è in espansione. Maggiore è il redshift e maggiore è la distanza del corpo celeste, nonché la sua velocità di allontanamento. 

MOTO DEI GAS
Un metodo del tutto nuovo ed indipendente da tutti i metodi finora utilizzati è stato ottenuto grazie a lunghe osservazioni compiute con il Very Long Baseline Array (VLBA), un sistema di 10 antenne da 25 metri di diametro dislocate su un’area ampia più di 8000 chilometri dalle isole Hawaii alle isole Vergini e con il radiotelescopio da 100 metri di diametro di Effelsberg, in Germania.

Il metodo dello studio del moto dei gas prevede la misura della velocità del gas che orbita intorno al buco nero supermassiccio che occupa il centro delle galassie. Nel disco di gas ci sono “macchie maser“, zone che emettono microonde coerenti emesse da molecole d’acqua. Tramite interferometria è possibile stabilire la velocità e la posizione di queste macchie. Misurando questi dati a distanza di tempo è possibile seguire il cammino delle macchie: conoscendo questi dati e l’angolo sotteso, tramite trigonometria si trova la distanza della galassia.

Tutto è nato dallo studio della galassia UGC 3789, posta a 160 milioni di anni luce da noi.

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