CHE NOIA LA NAJA! O… FORSE NO?

A CHI ABBIAMO LASCIATO LA STECCA?


La stecca, serviva a pulire i bottoni senza rovinare la stoffa della divisa. Divenne il simbolo dell’anzianità di servizio, chi si congedava la doveva passare a chi lo avrebbe fatto il mese successivo durante i 12 mesi del servizio di leva.

SIAMO VERAMENTE CRESCIUTI DOPO IL SERVIZIO MILITARE?

QUALCUNO VUOL FARE UNA PROPOSTA DI LEGGE CHE PREVEDE LA REINTRODUZIONE DEL SERVIZIO DI LEVA, IN FORMA BREVE, SU BASE VOLONTARIA E DELLA DURATA DI 40 GIORNI. NO, GRAZIE…, SI, PERCHE’… . HO APERTO UN CASSETTO DI RICORDI MILITARI E ALLA RINFUSA LI HO MESSI UN PO’ GIU’, QUASI UNA BIOGRAFIA, GIUSTO PER FARE UN PO’ DI FILOSOFIA E PER RAGIONARCI, ADDOSSO…

MA COS’ERA IL SERVIZIO DI LEVA?

Il servizio militare di leva in Italia (formalmente coscrizione obbligatoria di una classe, popolarmente naja), indica, in ITALIA, il servizio militare obbligatorio. Fu Istituito nello Stato unitario italiano con la nascita del Regno d’Italia e confermato con la  nascita della Repubblica Italiana, è stato in regime operativo dal 1861 al 2004, per 143 anni. L’obbligatorietà del servizio, prevista dalla Costituzione della Repubblica italiana nei modi e nei limiti stabiliti dalla Legge, è ordinariamente inattiva dal 1º gennaio 2005, come stabilito dalla Legge 23 agosto 2004, n 226 (fonte Wikipedia)

Mi permetto di iniziare con una piccola dissertazione di natura sociologica riguardante il nostro modo di pensare e probabilmente di comunicare, senza naturalmente esimere me stesso dalle eventuali critiche (qui ci sarà il solito (exusatio non petita)… età, etc… Intendevo, il modo di approcciare alle notizie, il modo di elaborarle e il modo o la necessità di opinare (quasi sempre non richiesta.) Io infatti ho la mia opinione ma più che manifestarla preferisco restare sul tema raccontando la mia esperienza che cercherò di mantenere per quanto più possibile scevra da opinioni personali o ideologiche, oltretutto già ci sono parecchie pagine scritte sull’argomento; mi permetto solo di dire a riguardo della proposta di legge sulla leva breve che 40 giorni non cambiano la vita di un adolescente, e non capisco a che pro, la base volontaria possa essere considerata ancor più positiva se nonper inserirsi in un meccanismo di assunzioni nell’impianto militare del nostro esercito. In un anno le cose iniziano, prendono una forma, si sviluppano e poi vanno come devono andare, ognuno prende la strada che deve prendere o riprende il percorso di vita che aveva probabilmente già intrapreso; in un anno un ragazzo comprende se i legami sentimentali siano destinati a durare o non reggono alla lontananza, in pratica, tutte cose importanti nella vita di ognuno, e che in un anno o poco più possono o non possono realizzarsi. In 40 giorni, giusto il diluvio universale ha creato qualche reale cambiamento nel mondo; Noè avrebbe detto: “Grazie arca…!” (battutona, eh!) Il risultato sarebbe forse che, per una quarantina di giorni non ci sarebbero in giro dei diciottenni in piena tempesta ormonale che appena finita la scuola superiore stavano nella migliore delle ipotesi pianificando anni sabbatici, impegnandosi in uno sport, cercando lavoro o semplicemente bighellonando per le città assieme ad altri maranza. Non comprendo quindi come quei quaranta giorni possano essere utili, a meno che non vengano organizzati come fossero corsi di formazione ad alta specializzazione su vari campi di utilità sociale e con una ricaduta professionale sulla società: “Protezione civile (Pompieri, infermieri) e perché no, pure militari, purché si insegni ai soldati la loro vera professione ed aggiungo visto che ci troviamo in una repubblica democratica, anche dei corsi di etica. Ecco che allora i 40 giorni non basterebbero, sarebbe infatti poco più del periodo di addestramento chiamato CAR e soldati che sappiano solo marciare o tenere pulite le camerate non vincono le guerre e non sono utili nelle calamità naturali, al massimo avranno imparato a gestire casa non caricando l’onere totalmente sulle spalle della futura compagna o moglie o marito. Ok rischio di perdermi ulteriormente in territori in cui non mi volevo addentrare e torno sul tema della mia riflessione, non dimenticando che ognuno di noi esprime e racconta o si racconta senza avere la pretesa di avere la verità in mano, purchè, sappia di cosa parli.

Forse proprio perché oramai sono passati quasi due anni dall’inizio della guerra tra Ucraina e Russia e che le notizie, arrivando quasi in tempo reale ci hanno fatto percepire sopratutto all’inizio del conflitto come se fossimo in mezzo ad una situazione che anni fa ci sarebbe sembrata completamente assurda e figlia di una fantasia da romanzo di azione e spionaggio ma che ora, ci fa pensare e riflettere su tante cose: sulla bruttura delle guerre, su quello che si lasciano dietro, sulle implicazioni umane, politiche, religiose, economiche, sociali. Grazie ai media ed ai social ci sentiamo coinvolti in un villaggio globale nel quale tutto succede e tutto passa a velocità vertiginosa, parliamo, ci confrontiamo, litighiamo, esprimiamo opinioni, discutiamo animatamente fino al punto di immedesimarci in ogni situazione. Cosa farei io, cosa avrei fatto io? Senza mai chiederci veramente, – chi sono io? – Quali conoscenze della materia ho, quali competenze posso mettere in campo per poter definire, catalogare, discutere di fatti che, guarda caso riguardano molto spesso altri e non noi. Anche in questo caso succede un po’ come nel calcio, siamo tutti commissari tecnici della nazionale ed ogni giorno che passa nonchè ogni nuovo fatto di cronaca di cui abbiamo notizia diventiamo automaticamente degli “espertoni”. La verità è che bisognerebbe essere dentro una situazione e non dentro un’affermazione o una notizia per poter esprimere una vera opinione meritevole di essere presa in considerazione, ma tant’è. Cosi facendo assumiamo (a torto) il ruolo di protagonisti virtuali, empatizzando, naturalmente sempre virtualmente con questo o con quel fatto, non abbiamo ritegno nemmeno su un argomento come la guerra. Il punto principale è che diamo un opinione con presunzione di verità, quando (usando un iperbole) bisognerebbe essere pesci per rispondere esattamente alla domanda: “com’è il mare?” Sono opinioni, sono sensazioni, sono puramente empatia che noi diamo a chi ci fa più comodo in quell’istante in base al nostro stato d’animo ma, come dicevo, la verità è sempre altra cosa, forse aveva ragione Platone con la questione delle ombre e della caverna.

Fortunatamente la guerra Russo – Ucraina non ci ha ancora, se non per questioni energetiche o finanziarie direttamente interessato, e forse non dovremo mai imbracciare moschetti e scavare trincee; sicuramente ne vediamo gli effetti sia guardando la tv sia vedendo le persone che giungono da noi per fuggire da quel gioco di potere dell’area di influenza dell’ex unione Sovietica. Spero che tutto finisca presto e che le situazioni geopolitiche con i vari interessi economici e territoriali di quell’area e non solo di quella, non portino ad un’escalation incontrollabile che metterebbe seriamente a rischio il nostro vivere quotidiano che generalmente già tanti problemi ci dà. Ad ogni modo grazie a questa situazione e dalla comodità del mio divano non ho potuto fare a meno di pensare, pensare, ricordare, immaginare, ipotizzando se questi avvenimenti fossero accaduti circa una quarantina di anni fa o giù di lì, quando per l’appunto io assieme a molti altri miei coetanei o quasi, abbiamo affrontato quell’esperienza allora obbligatoria per legge che prevedeva la coscrizione obbligatoria… chiamata più comunemente:

“SERVIZIO DI LEVA”. Chissà come avremmo reagito ad un invasione, dalla comodità del nostro divano e dal bar nel quale siamo soliti farci uno “spritz” o un “happy Hour” e come avremmo affrontato quei momenti, con quali sentimenti, con quali ansie con quali paure? Sicuramente ci saremmo riuniti attorno alla bandiera manifestando un tanto agognato orgoglio nazionale, sentimento utile in un momento simile, sentimento di cui abbiamo già testimonianza, identico, ma per opposti motivi, maturato dalle varie fazioni politiche che si sono scontrate tra di loro prima durante e dopo la seconda guerra mondiale; una guerra che molti di noi hanno vissuto attraverso testimonianze o racconti di qualche genitore o di qualche nonno. Avremmo forse scoperto un altro livello meno qualunquistico del modo di intendere la vita, avremo scoperto alcuni valori umani che oggi mettiamo in secondo piano, avremmo infine scoperto in maniera un po’ più traumatica “noi stessi”. Saremmo stati in grado di essere persone o saremmo diventati pure noi “bestie”, senza offesa per molte specie animali che hanno dei precisi codici dettati dalla natura, quindi incolpevoli… Chissà! Di questi argomenti la letteratura ha già dato ampia bibliografia e non vorrei inoltrarmi in un percorso senza rischiare di essere troppo ed inutilmente prosaico. La vita è un percorso di esperienze emotive belle e brutte ed ognuno di noi elabora in base ad una serie di fattori: culturali, familiari, gruppo sociale di appartenenza, educazione, quella che sarà la sua personalissima scala di valori. Eccomi quindi, probabilmente certe cose rimangono chiuse in un cassetto per anni, cose di cui per anni non ne hai avvertito il bisogno, erano li nascoste cosi bene che se le avessi cercate proposito non le avresti trovate. Poi quando meno te lo aspetti e sicuramente quando stai cercando altro rispuntano, si palesano e prepotentemente ti si piazzano davanti costringendoti a pensare a loro. Lo sblocca ricordi è arrivato, le nostre esperienze chiuse in quel magico hard disk che è la mente si palesano e cosi si apre a ventaglio la schiera di esperienze che ci fanno tuffare nel nostro passato. Così è stato pure con questo argomento e questo articolo, sarà l’età! Avevo iniziato a scrivere un altro tipo di storia, storia che ho dovuto riscrivere partendo da un altro punto. Inspiegabilmente, ogni volta che provavo ad andare in una direzione, immediatamente avvertivo l’esigenza di andare a cercare quel qualcosa prima, non per esigenza didascalica e nemmeno per esigenza descrittiva; semmai era diventata quasi la ricerca di un principio di causa ed effetto quasi fosse uno scavare tra le esperienze per capire cosa c’era prima, che servisse a giustificare i fatti successivi, lo stabilire in pratica un ordine gerarchico di eventi che hanno portato a scelte personali nel divenire temporale. Lo so mi sto addentrando in un terreno filosofico che poco ha a che fare con quello che stavo iniziando a scrivere, ecco perché ho sentito il bisogno di giustificarlo, quasi fosse la ricerca di una prova ontologica. Ragionando mi sono appunto reso conto di volerlo raccontare. Probabilmente anche questa era stata per me come per milioni di altri ragazzi dell’epoca un’ esperienza che ha avuto molte facce, alcune molto positive ma altre sicuramente negative. Ti trovi a dover diventare “uomo” o lo sei già, ma doverlo continuamente dimostrare, è palestra di vita e fonte di ricordi, bei ricordi talvolta, bruttissimi ricordi altre volte. LA CARTOLINA VERDE Ed eccomi qui con la lettera verde in mano.

L’aspettavi, in fondo lo sapevi, era già toccato ad altri amici più vecchi di te, e poi an con di più dopo che hai dovuto fare i famosi tre giorni di visite mediche nei quali viene contingentata la truppa in genere per età e dopo i test psico-attitudinalidove viene definito il tuopresunto QI e da li viene anche deciso in quale corpo dell’esercito o delle altre armi saresti stato arruolato, il tutto con un alone di mistero che lasciava i ragazzi in un limbo totale fino a che ci si dimenticava di quei tre giorni di visite e a che cosa fossero serviti… Ma quando arriva, la situazione è ben diversa, non è più il racconto di un conoscente, è la tua vita, è reale, è il tuo mondo che sta per cambiare e anche se già sai che prima o poi tocca a tutti, sai già che non si tratterà di una vacanza. Eccomi quindi a casa a vivacchiare dopo la maturità, un lavoretto di qui, uno di là, avevo già 22 anni, il percorso scolastico non era iniziato benissimo infatti: dopo una pessima figura in tre anni di liceo classico, rimediai con un più che discreto percorso scolastico formativo di cui ancor oggi beneficio nella mia professione di docente; l’istituto magistrale. Era così arrivato il fatidico momento, la nazionale calcistica italiana in quell’estate stava giocando e stava per vincere i mondiali di calcio con Pablito Rossi, ed io ero costretto a studiare per l’esame di maturità in una situazione ambientale poco facilitante: da giorni proprio di fronte casa stavano allestendo gli stand per una delle tante feste paesane che al tempo andavano molto di moda, credo che al momento fosse proprio “la festa dell’Unità ” e puntualmente subito dopo pranzo mentre cercavo di combattere il furto splancnico ovvero quella fastidiosa sensazione di freddo che spesso ti prende dopo i pasti dovuta ala maggiore quantità di sangue richiamata allo stomaco per il processo digestivo, con una copertina sulle spalle nonostante la calura estiva, mi addormentavo e la sonnolenza post prandiana sembrava portarmi lontano dal mio primo dovere: lo studio.

Altrettanto puntualmente alle 14.00 ogni giorno il DJ di turno iniziava la sua programmazione sparando al massimo dagli altoparlanti della festa, il brano degli – Imagination- ” dal titolo demotivante per chi doveva affrontare una prova importante come quella dell’esame di maturità: “Illusion”, che aveva un doppio effetto: quello di farmi trasalire e svegliare dal torpore della siesta ma anche quello di invogliarmi a mollare lo studio spingendomi a raggiungere al più presto la fonte della musica;

in pratica un Lucignolo che ti invita al paese dei balocchirappresentato da “stand e bandiere rosse” che erano la tentazione di andare a far festa e che solo con la mia forza di volontà potevo a fatica contrastare rendendo la preparazione dell’esame di maturità un’impresa quasi impossibile. A tutto ciò si univa la vittoria dei mondiali di calcio, Al grido di “Rossi, Tardelli, Altobelli” quasi tutto il popolo italiano si riversava per le strade a festeggiare. Questa vittoria ci portò a girare per strada in automobile a fare i” caroselli” per l’occasione le mete preferite erano le località balneari della riviera veneta dove abbondavano i turisti tedeschi e noi a rischio mononucleosi cercavamo di rubare il maggior numero possibile di baci alle turiste tedesche che in quel momento non potevano far altro che applaudire gli italiani in festa e a dir la verità, avrebbero fatto di tutto pur di sentirsi parte di quell’ondata di entusiasmo che probabilmente non avvertivano dai mondiali del 74 o dai tempi del blitz all birreria, alla fine della repubblica di Weimar (cattivissimo ).

Lo so, sto perdendo tempo, era giusto per inquadrare il periodo che era al momento giustamente spensierato, fino all’arrivo di quella famosa cartolina… Ricordo che non capii nulla quando arrivò la raccomandata, meglio, non sapevo quali pesci prendere, si dovrebbe dire così, credo. Girai per mezzo paese con questa cartolina verde in mano cercando di condividerla con più gente possibile anche con persone con cui non avevo mai chiacchierato, in pratica stavo facendo la figura del pazzo solo per capire ed avere informazioni su cosa mi sarei dovuto aspettare, fosse arrivata al giorno d’oggi l’avrei sicuramente spammata per tutti i vari social cercando condivisioni empatiche chemi dessero conforto e informazioni sumio prossimo futuro, anche se avrei dovuto cancellare parecchi post di insulti, comunque nella cartolina c’era scritto: IL CAR: “Si presenti alla caserma caserma Vinicio Lago sede del 7° Cuneo a Jalmicco (una frazioncina nei pressi della più famosa Palmanova –)”

la caratteristica città di Palmanova (UD)
la caserma CAR del 7° Cuneo Vinicio Lago di Jalmicco (UD)

IL PRIMO GIORNO IN CASERMA: dopo che eri giunto di fronte a quel portone metallico e salutato i tuoi cari (se avevi la fortuna di essere accompagnato da un amico o da un familiare) c’era la cerimonia della vestizione, se così possiamo chiamarla, dopo un appello, dovevi metterti in riga e formare varie file in corrispondenza di vari edifici o di vari portoni. LA VESTIZIONE: Dapprima passavi per un grande salone dove venivi rifornito di zaino e di ogni capo di abbigliamento di vestiario, la taglia era approssimativa tanto i vestiti si sarebbero stretti ed accorciati lavandoli e poi eravamo soldati e non dei modelli di Armani, mi resi subito conto chiedendomi anche il perché anche nell’aspetto la recluta dovesse rappresentarsi goffa rispetto ai più anziani, ma non ebbi il tempo di starci a pensare troppo su.

Andammo poi a prendere altre amenità, kit da barba: sapone rasoio pennello e altre piccole cose per l’igiene personale comprese le saponette. Eccoci subito dopo al reparto calzature vi erano ammucchiate divise per numeri pile di scarpe da ginnastica in tela, probabilmente della “Superga” e già dotate di puzza endogena, poi, poco più in là, gli anfibi; almeno in quello potevamo provare a dire che erano larghi o stretti, poiché servivano ad una cosa ben precisa ed in fondo questo era il primo obiettivo di quel particolare corso di formazione chiamato CAR, il centro addestramento reclute, che oltre ad insegnare i fondamentali del vivere in caserma per diventare un perfetto soldato, doveva prepararti alla vita. Potevi, o meglio dovevi, imparare a fare molte cose, tra cui: fare le pulizie, il “cubo”, marciare schierati e inquadrati tenendo una perfetta geometria, tenere un arma in mano, imparando dapprima a smontarla e rimontarla, caricarla e scaricarla, saperla tenere in equilibrio e allineata nei vari “presentat arm” e non per ultimo ad usarla. Nei vari corsi sulla sanità militare abbiamo potuto capire cosa fossero le MST, le malattie sessualmente trasmissibili, imparato gesti improbabili se non impossibili come iniettarsi l’atropina nel cuore in caso di attacco con gas nervino o di altro tipo, cosa per altro vista solo in truculenti film d’azione e non molto facile da eseguire, anzi.

LA PUNTURA: Già durante i primi giorni del CAR venivamo sottoposti al rito della puntura, ovvero la vaccinazione di massa contro le più comuni e rischiose malattie che avresti potuto contrarre nel periodo e nei luoghi del servizio di leva. La puntura sul petto aveva un lato positivo, per tre giorni eravamo confinati nelle camerate e non dovevamo ne marciare ne svolgere lavori o servizi. Questo rituale sanitario si doveva ripetere almeno una volta nel corso dell’anno di servizio e alcuni lo aspettavano per prendersi tre giorni di riposo, altri invece mal sopportavano di essere “punturati” sul petto. Immagino ai tempi odierni con il gran numero di persone contrarie ai vari vaccini cosa sarebbe potuto succedere; noi ce la cavavamo in genere con un gonfiore sul petto e un giorno e mezzo di febbriciattola, il giusto tributo alla vaccinazione.

Era fondamentale imparare a rispettare il grado e la gerarchia, conoscere i principali sistemi d’arma, imparare a sparare e a centrare un bersaglio, sapere cos’è un attacco NBC (nucleare batteriologico chimico) come difendersi, ma sopratutto, ed è qui che gli anfibi entrano prepotentemente in gioco le famose calzature militari chiamate anfibi: marciare, marciare, marciare e poi marciare, dovevi battere il passo e ritmare la cadenza con i piedi che dopo pochissimo sembravano delle incudini e la sensazione di bruciore era indicibile. L’ADDESTRAMENTO: Sopratutto nei primi giorni, capitava spesso che qualcuno non ce la facesse e cadesse, a pensarci mi viene in mente il tenente che ci dava gli ordini per controllare il nostro livello di addestramento che i caporali ed i sergenti ci impartivano senza lesinare sproloqui o iperboli linguistiche che avevano lo scopo di inorgoglirci o di umiliarci a seconda delle situazioni.

il Sottotenente Viaro era probabilmente la degna rappresentazione fisica l’archetipo del soldato perfetto, il ragazzone di Rovigo al “passo” urlava “Fogo, Re can!” un esclamazione che sottendeva che l’unisono dei piedi battuti sull’asfalto dovessero e dar vita a delle vere e proprie fiamme, il tutto per arrivare alla famosa cerimonia del giuramento. IL GIURAMENTO è un evento in cui ogni soldato giura fedeltà alla patria ed è una cerimonia piuttosto solenne a cui vengono invitati amici e parenti dei soldati di leva. Si arriva marciando in schiera si fa a gara con gli altri reparti o le altre compagnie per vedere chi sembri più forte nella marcia anche battendo i piedi all’unisono rappresentando una vera e propria esplosione. Nel mio caso come in quello di moltissimi altri la cerimonia si svolse alla Casema Berghinz di Udine, sede del reggimento 7° Cuneo, ultima tappa del CAR prima di arrivare al corpo di destinazione.

IL CORPO DI DESTINAZIONE: Pavia di Udine, caserma Paravano sede del 53° battaglione di fanteria d’arresto UMBRIA. Pavia di Udine era all’epoca un paesino che aveva molto poco dell’omonima Pavia lombarda ma ancor meno dell’operosa Udine, in pratica, un paesino dormitorio con un paio di pizzerie e birrerie, ricordo: Il “Cantinon”, sostenute dalle decadi dei soldatini in libera uscita che cercavano uno svago in contrasto alla noia della Naja. Non era Las Vegas, almeno per dei soldati che speravano in qualcosina di più per svagarsi in libera uscita, tantomeno lo era la caserma, perlopiù abitata da soldati di leva che non più diciottenni ma che in moltissimi casi avevano rinviato la partenza per vari motivi, sopratutto lo studio. Quindi già adulti e poco propensi alla leva. Alla fine del CAR quando veniva data la destinazione potevi capitare nella caserma di Pavia di Udine oppure nei distaccamenti di Brazzano di Cormons oppure di San Lorenzo Isontino, altri paesini più o meno famosi anche per le vicende legate alla grande guerra (1915-1918)

Interno della caserma Paravano sede del 53° Fanteria d’arresto di Pavia di Udine

La percentuale dei laureati in quel piccolo posto era veramente alta e di pari passo si era alzato il livello di stress, che le persone inconsapevolmente si trasmettevano attraverso “nonnismo” e varie altre forme più o meno malate e tossiche del vivere sociale. Si trattava di persone che avevano nella gran parte dei casi una carriera lavorativa già avviata, nella maggior parte dei casi, bravi ragazzi spesso con una moglie e dei figli avuti durante il percorso di studio universitario ma anche piccoli imprenditori che già avevano avviato un’ impresa, professionisti che dovevano chiudere uno studio, geometri architetti, figli di imprenditori che già lavoravano in aziende di famiglia e che dovevano interrompere il percorso lavorativo nonché di crescita economica, padri di giovani famiglie che venivano strappati dal loro status a causa di una legge che non teneva conto di eventi improvvisi, dopotutto ” lex dura lex sed lex “. IL NONNISMO: L’ inesorabile ed ineluttabile chiamata al sevizio di “Leva”, aveva fatto procrastinare ogni tipo di scelta fatta da ogni individuo, ogni cosa sarebbe stata rimandata all’anno dopo, accentuando il malessere di molti, malessere che riversavano spesso sugli altri grazie a quel fenomeno tacitamente accettato da tutti chiamato nonnismo, ma, null’altro era che del bullismo giustificato dai mesi di permanenza in un ambiente di lavoro; fenomeno accettato come il sorgere del sole in quegli spazi e a quei tempi. Tu, eri: una “Burba”, anzi, una Spina, dovevi “morire!” e dovevi, “stare muto!” e rassegnato. Questo era un po’ il lessico quotidiano tipico delle caserme, dove le frustrazioni di molti si scaricavano sulla debolezza psicologica di altri, in genere i nuovi, le reclute. Ero di carattere mite e di corporatura piuttosto esile, tuttavia ho provato a far ragionare qualcun di loro ma subito mi fecero capire che quello era il gioco delle parti, prima era toccato a loro, ora toccava a me! Quindi, se uno dei “nonni” ti chiedeva di fargli la branda o il famigerato cubo o di fare le flessioni o altre angherie, tu le dovevi fare e (sa va, sans dir)… muto!

I SERVIZI: Fare la guardia alle campagne e ai muri di una caserma, dove, almeno per quello che mi era dato sapere, era palese non esserci nulla di strategicamente rilevante per la difesa nazionale fatta eccezione naturalmente delle persone che la popolavano: i suoi soldati, era veramente alienante oltre che frustrante. Passare quelle lunghe ore a fissare la rigogliosissima campagna friulana con l’ansia che arrivasse il nemico, o almeno un nemico, qualcuno che giustificasse il tuo stato di vigile allerta obbligata. Tu, li, da solo, quasi sperando che si presentasse un motivo valido per stare in quel luogo, in quel momento, sperando che un nemico arrivasse, magari con il primato di essere stato proprio tu, il primo ad avvistarlo e aver dato l’allarme. Invece no, nulla, nessuno… Meno male! Tuttavia era in quei momenti che per vincere la noia e il tedio unito al freddo, dovevi rifugiarti nella tua mente e la proteggevi con una sorta di ironia che al momento ha aiutato, eccome se ha aiutato.

Si scatenava la fantasia: Fantasticavi sul tutto e sul niente ad occhi ben aperti e ti preoccupavi che da un momento all’altro potesse arrivare la “falange macedone” oppure “la cavalcata dei cosacchi del Don”, i quali, proprio quella sera non avendo nulla di meglio da fare, avevano deciso di attaccare, proprio li, in quel punto sperduto e apparentemente “inutile” del mondo. Tutto sommato la cosa poteva anche apparire comica se la si voleva vedere cosi. Una guardia di due ore dopo 4 di riposo ad una temperatura che andava oltre i -10 gradi ti faceva immaginare di tutto, ti aspettavi arrivassero i tedeschi con le loro “panzer division”, Gengis Khan con tutto l’esercito mongolo, i khmer Rossi del Viet Nam, potevi addirittura immaginare di vedere l’arrivo di toro seduto con gli Apache e tu eri a Little big Horn e mentre fantasticavi la mente naturalmente andava su argomenti meno bellici ma iniziava a concentrarsi e fantasticare sulle ragazze che avevi incrociato o intravisto dal cassone del camion o dalla Jeep andando a fare la spesa accompagnando qualche ufficiale, si quella che aveva sorriso, alta bionda con l’amica mora, tutt’e due bellissime. Ebbene, proprio in quel momento proprio mentre lei stava per dirti “esci con me domani ?” Capivi che stavi sognando ad occhi aperti e che quel rumore che ti aveva appena fatto trasalire era l’unico e vero pericolo che avresti corso in quel momento… Infatti, qualcuno aveva bussato alla scala dell’altana, era il tenente che stava per pronunciare la fatidica frase: ” Stai Punito! “… Si, non avevi intimato “l’altolà chi va là ” in pratica, mentre aspettavi che il mondo venisse prenderti, non hai fatto caso proprio a lui, all’unico, che in quel preciso istante aveva un minimo interesse nei tuoi confronti, ma non un interesse di quelli buoni, tutt’altro… era: “mancata consegna”, quasi un reato, anzi, un vero reato visto il contesto. fosse stato l’esercito dell’antica Roma sarei stato passato per le armi decimato. Questo nella legione romana anche perché a dire il vero in questi posti non credo fosse l’unico, la disciplina militare era quasi inesistente, i marescialli che ” tenevano famiglia” raccoglievano di giorno la cicoria sotto le altane di guardia ed i tenenti mettevano in punizione quelli che non intimavano l’altolà. Le poche regole venivano fatte rispettare attraverso le solite punizioni che riguardavano la negazione dei permessi e delle libere uscite. Presi in quell’occasione infatti una ventina di giorni di punizione e non potei per quel periodo uscire di caserma la sera…

L’altana: 2 ore di guardia e poi 4 di riposo dentro il corpo di guardia, per 24 ore.

GLI SCHERZI: Scoprii subito che le frustrazioni dei più anziani venivano scaricate sugli ultimi arrivati che infatti venivano vessati dai “nonni” i quali appena potevano andavano oltre quella che era l’usanza del farsi rassettare la branda e farsi sistemare il “cubo”, si arrivava agli scherzi notturni. Bastava che tu avessi fatto qualcosa che non era gradita a qualche nonno o anche solo che qualcuno di loro ti avesse preso non in simpatia che iniziavi ad essere preso di mira con quelli che loro chiamavano “scherzi”; Uno antipaticissimo era il porre del lucido da scarpe su dei fogli di carta igienica che venivano messi sul tuo guanciale, al mattino ti svegliavi con il viso impastato e sporco di nero o marrone… Vi era anche la variante, che non ricordo di aver provato, ma si raccontava che con il dentifricio l’effetto collaterale fosse quel di stimolare inconsciamente l’apparato urinario dando vita ad uno stimolo incontrollabile, enuresi pura, non patologica, e oltretutto appena ti accorgevi di essertela fatta sotto sentivi che qualcuno ridacchiava o peggio al mattino qualcuno ti guardava sogghignando, c’era da divertirsi, vero? Talvolta invece erano semplici gavettoni, le leggende su questo scherzo si sprecano, ma viste le temperature del periodo in cui ho frequentato quella caserma a volte anche – 20 gradi di notte la pratica non era di moda; in estate non sarei stato li ma ancora non lo sapevo; comunque dai racconti dei vari militi erano bazzecole rispetto alle leggende dei vari rituali che si tenevano in alcune caserme degli alpini o di altri cosiddetti reparti più o meno speciali. Insomma, andare a letto era diventata una preoccupazione, piuttosto che un riposo, ma mi sono soffermato già troppo troppo sulla questione, di certo posso dire che non ho mai fatto pagare ad alcuno i miei personali stress, e non emetto giudizi oltre a quelli che si evincono. PROMOZIONE: Ebbi comunque la fortuna che essendo appena diplomato, parlassi con un accento abbastanza apolide per cui il comandante scambiandomi per persona colta mi chiese di lavorare come furiere, fu’ li che cambiò la mia vita militare, almeno dal quel punto di vista, quello ambientale. Iniziai ad essere di colpo rispettato e cercato, il motivo era semplicemente l’intercessione presso il capitano che poteva dare le licenze ed i permessi, una mia buona parola avrebbe fatto sicuramente effetto… arrivarono pure i gradi di caporale ed ero entrato a far parte della (odiata) squadra di pallavolo della caserma, grazie a questo ero riuscito a saltare pure qualche guardia per fare le partite anche se poi questo fatto aveva infastidito alcuni facinorosi che appena potevano si rifacevano su qualcuno di noi con scherzi o comandando servizi in quanto ritenuti “imboscati”. L’ESILIO: Ma…Un giorno il Capitano Griesi (brava persona con un discreto livello di umanità) mi disse che voleva parlarmi in ufficio, il suo tono non era il solito tono di chi ti invita ad essere solerte nel lavoro o di chi cerca un consiglio, notavo un certo imbarazzo. – Comandi, capitano! – dissi. Mi apostrofò – Guardi, non è colpa mia, io mi ero opposto, pare che arrivi un soldato con un incarico da ufficio, ed è pure raccomandato da un generale… Fece una pausa – “Inoltre, in maggiorità (dove vengono custoditi tutti i documenti ed i fascicoli personali dei soldati, compresi i testi psicologici effettuati durante la visita dei tre giorni.) qualcuno si è accorto che lei non ha fatto il corso d’autista e… bisogna che lo faccia; noi pensavamo che lei fosse un 30A (fuciliere /assaltatore) invece è un 18 / A ovvero autista. – Quindi dopo il corso la manderò nella fureria della compagnia trasporti del battaglione. – Per me fu una doccia fredda, non la presi molto bene, oramai avevo le mie routine ed i miei spazi e avevo appena superato il periodo della “spina”, in pratica subivo molto meno gli stati d’animo di congedanti in pieno burn-out. avevo trovato la mia “Comfort Zone”. L’unica consolazione di quella notizia era che sapevo che al V° corpo d’armata a Treviso il comandante della compagnia trasporti era un cugino di mia madre, quindi la prospettiva di lasciare quel posto abbandonato per una cittadina ricca di negozi, di vita, di ragazze come Treviso, mi entusiasmava… Ma, come sempre il diavolo, ci mette la coda ed il giorno dopo mi accorsi che non sarebbe stato cosi. La sede per il corso di scuola guida per gli autieri, non era più Treviso ma era diventata Gradisca D’isonzo, una cittadina vicino a Gorizia che ospitava già molte caserme, sarei quindi stato aggregato alla compagnia trasporti della brigata Folgore e sarei tornato al corpo di appartenenza dopo aver superato il corso di autiere che comprendeva esami di guida ed esercitazioni su vari tipi di mezzi, dalle Jeep, ai camion fino ai Pullman.

La caserma era molto grande e la compagnia trasporti condivideva un grosso spazio con una brigata di artiglieria che muoveva obici semoventi da campagna: il 46° Trento.

la Caserma Toti Bergamas come si presenta oggi

Gradisca D’Isonzo Caserma Toti Bergamassede del 46°art. semovente da campagna Trento e del Bgt. logistico brigata Gorizia div. Folgore. La disciplina era piuttosto ferrea, il comando era dei graduati e nessuno si permetteva mancanze di rispetto o atti di nonnismo che personalmente oramai non avrei più dovuto temere, grazie anche ai gradi di caporale. Per questa serie di motivi, l’impatto che avrebbe dovuto essere traumatico con quella nuova ed imprevista realtà fu invece molto sereno. La scuola guida era affidata ad un Sottotenente, si chiamava ARU un giovane sardo piccolo di statura ma tarchiato e forte con gli occhi buoni il carattere mite e sicuramente umano, in pratica una persona a cui il grado di ufficiale non aveva assolutamente dato alla testa, perfettamente in grado di gestire quel piccolo centro di potere che lo stato gli aveva affidato senza sentirsi un “Rambo” ma pronto a trasformarsi in un guerriero qualora la situazione lo avesse richiesto oppure, quando qualcuno voleva approfittare del suo carattere mite ed in genere amichevole.

Entrai quasi subito in confidenza con il capitano Pastore, persona tutta d’un pezzo che mi accolse nella sua fureria, parlò con il tenente Aru spiegandogli che doveva far di tutto per farmi bocciare alla scuola di guida per mezzi militari, venendo incontro e seguendo in questa maniera i miei desiderata che prevedevano di fermarmi in quella nuova caserma dove avevo di nuovo trovato una particolarissima comfort zone anche se vincolata da molto lavoro e dallo svolgimento di molti servizi a cui di volta in volta ero comandato. Tuttavia il contesto ambientale cambiava significativamente. Venne quindi architettato un sistema per cui con prove sempre più difficili non mi riuscisse facile essere promosso alla guida di mezzi militari compresi i pullman e le Jeep. Rimasi a lavorare nell’ufficio del capitano, occupandomi della gestione dello stato della manutenzione e dei movimenti dei mezzi della compagnia trasporti. Condividevo l’ufficio con altri commilitoni: alcuni più anziani altri miei coetanei, ricordo Sergei Doneda della val brembana e Gino Barni di Milano, oramai nonni credo.

Furono dei mesi abbastanza felici se così si può definire un emozione abbinata ad un periodo in cui come persona venivi rispettato e dove non dovevi temere di addormentarti perché sarebbe successo qualcosa di non piacevole se inconsapevolmente avessi mancato di rispetto a qualcuno. Una delle prove della corretta disciplina praticata in quella caserma è data da un altro evento: Un giorno durante la fila per la mensa alcuni congedanti passarono davanti ad una intera compagnia che era di reclute. Se ne accorse però un sergente che li fece ritornare nei ranghi e li mandò a processo dal colonnello: – Caporale puoi farci da avvocato? – disse uno di loro.- – Oddio, non guardavo nemmeno i film polizieschi – pensai, tuttavia risposi si. Evito di raccontare le fasi processuali del piccolo processino, so solo che in loro difesa chiesi: immedesimandomi in un principe del foro, un po’ alla Perry Mason “la seminfermità mentale” temporanea, dovuta allo stato di stress dovuto all’imminente congedo… Risultato: si fecero una settimana di CPR ovvero ritardarono ulteriormente il loro congedo; Non mi chiamò più nessuno per altri processi simili a fare l’avvocato della difesa, per fortuna loro, aggiungo io.

Durante le libere uscite di sera, come tutti i militari, affollavamo i pub e le pizzerie, i giri erano sempre gli stessi e a seconda di quali persone frequentavi, andavi in certi posti piuttosto che in altri: ” dimmi con chi vai e ti dirò chi sei” dice il proverbio. Per l’appunto ricordo il caso di un gruppo di commilitoni che erano considerati “gente strana”, avevano conosciuto delle ragazze ci uscivano assieme, andavano in determinati locali, fumavano determinate sostanze ed altre cose e si ammalarono tutti degli stessi malanni! Io ebbi la fortuna di frequentare altra gente, altro tipo di persone ma come nelle città anche in caserma, il rischio di incontrare e stabilire legami con “balordi” era alto. Le pizzerie o i cinema furono posti più tranquilli dove passare il tempo, una di quelle sere infatti in pizzeria dove la signora Carmela abituata a frotte di militari che sapeva gestire meglio di un sergente maggiore, fece sedere vicino al nostro tavolo un gruppo di ragazze, fu così che iniziammo a fraternizzare, diventammo così buoni conoscenti e ogni tanto ci si incontrava, libere uscite permettendo, per le vie del paese, naturalmente i rapporti erano molto semplici e si limitavano ad una conoscenza puramente amichevole e discorsiva senza alcun secondo fine almeno da parte loro, ma a noi tutto sommato, bastava. Uno di quei giorni suonò il telefono del centralino della caserma, “Caporale, la vogliono al telefono“: Naturalmente i cellulari all’epoca non esistevano. – Ciao sono Graziella, ci siamo conosciuti in pizzeria, ti ricordi?- Imbarazzo… ricevere una telefonata di una ragazza in caserma era a dir poco imbarazzante, quasi come il babbo che viene a giocare a pallone per stare con te quando hai quasi 14 anni.. provai a fare il vago ed annuii – Sai, ti avevo detto che mio padre era il custode di quella casa scuola che sembra un’hotel, – ” si certo” dissi – da questa settimana ospitano un gruppo di professori universitari e registi per un laboratorio internazionale di cinematografia e comunicazione… ” eh si, va bene, ma io cosa ci posso fare?” – devono girare un piccolo film e visto che il soggetto è basato su un racconto del periodo neorealista di “Cesare Zavattini”, ci sarebbe bisogno di un vero militare che faccia la parte del protagonista, e io ho pensato a te che insomma mi pari abbastanza brillante…- Pausa … lunga pausa… lunghissima pausa…- – ehi, ci sei ancora? – Si ci sono, ma non so se sono in grado – ” bene allora dico di si che ti ho trovato e ti farò sapere quando girano cosi da organizzarti al meglio le libere uscite – Avevo recitato solo nelle scenette del campeggio scout o a quelle dell’oratorio, ma mi sono ricordato anche di quando suonando in parrocchia ci lanciarono le frittelle di carnevale proprio mentre suonavamo My Sharona, voleva dire che in qualche modo il mio battesimo del palco e della recita lo avevo fatto, ma una sorta di timidezza mi iniziava a far tremare le gambette. Lo dovetti dire al tenente che decise di sfottermi appena poteva chiamandomi: il De Niro della Trento (nome della compagnia di carristi 46° Trento a cui era aggregata la mia compagnia.) Iniziammo così le riprese, per i costumi ero già pronto, avevo il mio vestito da militare, La storia era basata su uno scritto del regista scrittore Cesare Zavattini, Si intitolava “Linea di confine“ la regia era di un giovane regista messicano: Manuel Lopez Monroy che per l’occasione si avvaleva anche di aiuto registi che avevano anche lavorato in film importanti con registi noti come per esempio il polacco Christof Zanussi…

Il film raccontava di una storia d’amore nata tra un soldato dell’esercito italiano ed una ragazza che proveniva dall’allora Jugoslavia, in pratica quello che durante la guerra fredda era considerato il nemico. La prima scena riguardava il protagonista maschile che tutto solo attraversava il fiume solo, sopra un ponte, poi entrato in treno si assopisce e risvegliandosi in prossimità della stazione di Gorizia, nota che nei posti vicini è seduta una bella ragazza e come ogni colpo di fulmine la corteggia scoprendo che non è italiana ma Jugoslava, la scena (lentissima) continua con loro che passeggiano tra le mura del castello di Gorizia posto proprio a ridosso della linea di confine italo-jugoslava. Si dicono poco ma passano il tempo guardandosi e si scambiano pure qualche bacio innocente… Approdano quindi sotto il ponte del fiume Isonzo dove si intrattengono anche per una specie di Pic-Nic, poi per ricordare quel momento passato assieme decidono di affidare il ricordo ad un messaggio in una bottiglia che lanciano nel fiume e si salutano.

Nell’ultima scena si vede lui già vecchio che apre la porta al postino che consegna una lettera proveniente da un paese straniero probabilmente un paese del nord Europa… Ma lui non conosce proprio nessuno in quei posti. Apre la busta e trova un piccolo messaggio, salve ero un ufficiale di rotta a bordo della mia nave mercantile e un giorno mentre eravamo vicino alle coste della Grecia del sud e stavamo procedendo alle operazioni di scarico, ho notato una bottiglia con un messaggio, così l’ho voluta aprire, ed ho trovato questo indirizzo spero che le faccia piacere sapere che il suo messaggio è stato ritrovato dopo molto tempo. La saluto cordialmente… ” Il vecchio così inizia a pensare e a ricordare ricordare quell’amore impossibile per le questioni politiche ma possibilissimo per le questioni di cuore, una lacrima gli lambisce le gote e si rivede giovane, ma poi deve fare qualcosa e il film si interrompe. Ecco, dopo la trama che ho in qualche modo cercato di raccontare pure io, il film arrivo’ in produzione e ci fu un simposio per presentarlo, io arrivai come i veri divi di Hollywood con occhiali scuri e con giubbotto che copriva parte del viso, mancava solo un immeritato red carpet ma io volevo rimanere in incognito il più possibile, il motivo era solo uno, erano state invitate le massime autorità militari della zona compresi i miei superiori ed i politici regionali e locali… era imbarazzo allo stato puro. Vidi il colonnello che parlava con un collega generale, e diceva eh si, quelle sono le mostrine della sua Brigata… – eh già ha proprio ragione-… Io volevo scomparire, non erano state chieste autorizzazioni almeno per quel che ne sapevo che consentissero di riconoscere il nome del battaglione o della caserma da cui il protagonista che ero io provenisse. Quando ci fu la presentazione recitai veramente, molto meglio del film e non essendoci i diretti superiori potevo fingermi chiunque. mi presi il mio applauso e mi eclissai…

Il tenente Rangone, era un buon ufficiale e spesso si comportava con la truppa in modo cordiale e simpatico mantenendo comunque il giusto distacco dovuto al grado, unico difetto, se così possiamo chiamarlo, era l’esaltazione per la res militaria, cosa per cui tra alcuni di noi veneti lo catalogava con un epiteto scherzoso, dialettalmente “Mato paa guera” pazzo per la guerra, ovvero il prototipo di soldato sempre pronto ad intervenire in azione e preoccupato più di un mondo in pace che di un mondo in guerra, in altre epoche sarebbe stato definito un “ardito” o almeno così voleva far credere. Le varie mostrine unite ai vari alamari di specializzazione tipo: paracadutista, incursore, mitragliere, radiomarconista, Marines, Navy Seals, e ogni altra possibile specializzazione potesse esistere in una caserma a parte quella di crocerossina. Come soldato tutte quelle specializzazioni militari deponevano a suo favore, ma noi soldati di truppa lo preferivamo a bordo della sua Giulietta 1600 beige quando la sera si imbellettava per andare a fare conquiste in qualche locale. In quel caso, guadagnava molto come persona ma perdeva molto del Rambo a cui spesso lo associavamo per farci due risate alle sue spalle attenti a non farci sorprendere, tuttavia era sempre pronto ad essere a suo modo spiritoso, e l’idea era che facesse il duronon perché fosse cattivo, no, lui era semplicemente fatto così. ADUNATA: Uno di quei giorni il tenente Rangone assieme al capitano Pastore arrivarono all’adunata con un espressione seria e solenne. Dopo qualche istante di silenzio, intimato l’attenti e poi il riposo, iniziarono a parlare: iniziò il Capitano facendo un breve cappello introduttivo un po’ per incorniciare il suo discorso che pareva essere piuttosto delicato. “Soldati” disse ” come tutti spero sappiate, l’esercito italiano è inserito nel patto atlantico chiamato NATO e aderiamo alle iniziative dell’ONU la missione è “Italcon“, dunque ci è stato richiesto di partecipare con due soldati autisti a questa missione, e naturalmente vogliamo dare precedenza chi si offrirà volontario. Intervenne Rangone: ” in pratica, cerchiamo due volontari per il Libano” visto che tutti si stavano guardando attorno per capire se qualche amico o conoscente avesse alzato la mano, il tenente aggiunse: “Se posso dire la verità son molto invidioso, pensate che a me non hanno concesso questo privilegio, “indorò la pillola, “oltretutto dovreste sapere che la paga non sarebbe la stessa che prendete qui ma sarebbe molto più alta di quella che prendereste andando a lavorare”. Da come la stavano mettendo giù la cosa non sembrava poi male ma i poco più informati sapevano benissimo che pur essendo una missione di pace-keeping fatta assieme alle forze Nato statunitensi di Ronald Reagan e ai francesi con un piccolo contributo degli inglesi e altri era pur sempre un teatro di guerra che alla fine era costato la vita ad un soldato ed il ferimento per vari motivi di altri 75.

Poi visto che nessuno alzava la mano, il comandante ed il tenente si guardarono quasi sorridendo, io pensai ad un pesce d’aprile e in un attimo alzai la mano. “Caporale perché alza la mano?” – per il volontario, il Libano!- risposi – “Ma mi faccia il piacere, ha voglia di scherzare, lei non può andare!” – rispose, con quel piccato accento partenopeo, quasi volesse imitare il famosissimo “TOTO”! Impertinentemente mi azzardai a chiedere: – E… perché non posso?” Al capitano venne da ridere e guardò il tenente cercando una qualche espressione d’intesa ” Caporale, ma lei, lo sa perché si trova qui? – “Si, per il corso di autista!” risposi prontamente – Bravo!, E… alla data di oggi le risulta di averlo superato? – ” Ehm no, direi di no,” risposi imbarazzato. Stavo per fare una figuraccia lo sentivo, (mentivo poiché sapevo che le bocciature erano finte ed erano fatte per farmi rimanere in quella caserma, anzi meglio in quell’ufficio, quello del capitano. Continuò,” quelli cercano gli autisti e noi gli mandiamo uno che è bocciato agli esami di guida, che figure ci facciamo, poi se perdiamo la guerra danno la colpa a me…(risata generale)… “e poi, lei appartiene ad un altro corpo ed è qui come allievo, non la posso spedire io in quel posto… però la sto per spedire in un altro…” La dose di ironia non mancava al capitano, infatti ci fu un ennesima risata generale. Intervenne il tenente che mi chiamò per cognome e mi insultò auspicando che un intervento divino avesse potuto prendermi diciamo alle spalle in modo improvviso rubandomi l’innocenza. Seppi più avanti che l’adunata era semplicemente un dovuto atto di semplice comunicazione, il capitano aveva già individuato nelle persone di due militi con problemi familiari di natura economica i possibili volontari che come ci diceva il tenente, avrebbero dovuto essere “spontanei” e non “spintanei” infatti i due, avevano già accettato. Li ritrovammo poco prima del congedo con le mostrine in bellavista e il marchio della missione italiana in Libano, la banda tricolore sopra il grado sulla spallina.. risposi Quali il comandante Pastore mi faceva mettere di servizio ogniqualvolta sapeva che da Pavia di Udine sede del 53° Umbria, ovvero il mio corpo di appartenenza, qualcuno stava venendo a prendermi, ma riuscii a rimanere li fino a tre giorni dal congedo. GUERRA FREDDA: Fortunatamente erano gli anni 80 e non dovemmo mai preoccuparci veramente di nulla, anzi durante i pattugliamenti del confine quando eravamo comandati in “polveriera” o a fare la manutenzione delle “opere” riuscivamo a fraternizzare parlando di ragazze e di sport con i nostri antagonisti del patto di Varsavia,  che a loro volta temevano che noi li potessimo invadere. Quando le due pattuglie antagoniste si incontravano lungo il confine, si riusciva persino a fraternizzare noi che rappresentavamo il ricco occidente facevamo piccoli scambi commerciali con i nostri alter ego del blocco comunista, la merce non era molto sofisticata, noi scambiavamo calze di nylon riviste o giornaletti di natura pornografica facilmente reperibili in ambito militare, con pacchetti se non stecche di sigarette che non erano soggette a monopolio dello stato italiano… in pratica il contrabbando, il mercato nero. A dire il vero ci spaventammo solo una volta, ovvero quando alcuni dei nostri avevano sconfinato per rubare della frutta ed erano stati fatti bersaglio di fuoco contadino con cariche a sale … la fuga a gambe levate risolse il problema.

Quella che noi chiamavamo polveriera, era si legata al controllo delle munizioni stivate in luoghi protetti e lontani da insediamenti civili, ma anche alla manutenzione ordinaria delle linee di fortificazione chiamate “Opere”, che si trovavano a ridosso del confine, chiamate P ed M in pratica una catena di bunker interrati con una mitragliatrice pesante, oppure delle torrette di carro armato montate sopra dei bunker interrati spessissimo collegate tra loro a mo’ di sistema… il tutto aereato da potenti motori Piller…le cui prese d’aria o gli sfiatatoi si notavano appena uscire dalle doline e le rocce carsiche.

Pavia di Udine Caserma Paravano (Pavan, Io , Biancotto,)

Non so se in caso di guerra avremmo mai resistito quei “90” secondi che sarebbero serviti per dare il via ad un contrattacco o a far decollare le nostre difese aeree… noi intanto tenevamo tutto in ordine e funzionante nei nostri turni settimanali passati li, i quali se non altro servivano ad aumentare la coesione e tramite quella che era considerata una sofferenza lo spirito di gruppo e per qualcuno anche di corpo. Durante la Leva obbligatoria ci si preparava in effetti ad una situazione di guerra e questo da un punto di vista educativo non era una cosa brutta, in quanto il rispetto di ordini, gerarchie o di protocolli più o meno rigidi avrebbero determinato l’esito di battaglie o di guerre, e in molti casi, soprattutto, la personalissima sopravvivenza. Questo incentivava e motivava i soldati a cercare di avere rispetto per le cose e le altre persone, cosa non scontata tra i giovani di pari età che oggi noi boomers chiamiamo millennials. La pressione data dalla paura di sbagliare nei confronti delle regole della caserma e pagare pegno con giorni di consegna o licenze bloccate ingeneravano ansia e dubbi perenni nell’animo dei soldati facendoli sentire in perenne allarme. ALLARME: Tutto aumentava e si esasperava quando l’allarme suonava veramente. Eh già uno dei momenti di più grande ansia era la sirena dell’allarme, e noi soldatini di leva li a chiederci se l’allarme fosse un allarme NATO oppure un allarme interno, il che poteva voler dire molte cose sia nell’una che nell’altra ipotesi. Il suono della sirena d’allarme doveva essere uno dei suoni che come nell’esperimento di Pavlov lo psicologo, ti faceva scattare in piedi mettere in seria apprensione, esaltare la soglia di attenzione e esasperare il livello emozionale. Eravamo preparati tutti a quel momento o a quei momenti, erano state fatte delle esercitazioni ed ognuno doveva sapere dove andare e che cosa fare; ritirare il materiale da battaglia con buste contenenti ordini segreti e tenersi pronto a partire per chissà dove. Nessuno ti diceva se era un esercitazione, non era come nelle navi da crociera dove appena parti devi sottoporti ad un” “boat drill “che ti spiega cosa fare in caso di naufragio, non era come a scuola dove ti dicono cosa fare in caso di terremoto o di incendio… Era l’incognita della guerra…., allarme NATO o no? Già ti immaginavi in partenza con i camion verso il confine ad aspettare in trincea il tuo nemico oppure con un aereo militare verso una destinazione ignota. Ti vedevi al confine mentre cercavi di riconoscere tra il nemico magari quello’ Aliosha o quel Goran con cui avevi fraternizzato mentre eri comandato in polveriera o a pattugliare la zona parlando di ragazze o di calcio usando quelle poche parole in inglese che avevi appreso alla scuola superiore, scoprendo per altro con sorpresa che loro parlavano quella lingua molto meglio di te. Insomma l’allarme era un momento in cui si iniziava a fare i conti con se stessi, con il proprio addestramento, con le proprie paure… Ma, c’è spesso un ma, infatti durante gli allarmi, dopo i primi angoscianti attimi di incertezza, prendeva piede una strana euforia, ovvero si capiva che l’allarme in caserma, senza che nessun mezzo corazzato e non, venisse fatto uscire, era una semplice esercitazione e ci si rilassava, infatti. L’allarme quel giorno suonò intorno alle 8 di sera, erano i primi di aprile e le giornate si erano già allungate rispetto alle fredde serate friulane, la sirena stava ancora suonando e chi stava per andare in libera uscita trovò al corpo di guardia un tenente che ordinava di rimettere la mimetica e obbedire agli ordini di quello che era il suo caposquadra. I militari che erano in servizio o per qualche motivo erano in caserma invece dovevano immediatamente mettersi in tenuta da battaglia e recarsi al posto di adunata prelevando prima dal proprio armadietto, lo zaino tattico, l’elmetto, la maschera antigas… -presto, presto! – disse il sergente, dovete muovervi, ognuno raggiunga il proprio posto! – Prendemmo tutto in fretta: Nello zaino erano contenuti: un cambio di intimo, una coperta, un telo mimetico, una pala per scavare buche o trincee, indossato l’elmetto ci precipitammo nel locale blindato dove gli armieri stavano consegnando le munizioni e le razioni da battaglia ovvero la famigerata razione (K) un insieme di alimenti che avrebbero dovuto supportare per qualche giorno i bisogni di un soldato affamato, perfettamente conservati. Trovavamo: gallette, cordiale (un liquore), una scatoletta di carne, del cioccolato fondente, della penicillina per le ferite, dei cerotti ed altre varie amenità tra cui sigarette e carne in scatola con tanto di chiavetta per l’apertura…

La famigerata -Razione K- ovvero la fonte di primo sostentamento per un soldato.

Superati quei concitati momenti nei quali ci chiedevamo se fosse veramente cominciato tutto e se in quel momento ci avessero veramente invaso, il che avrebbe voluto dire: combattere, uccidere, forse morire. Momenti nei quali le raccomandazioni a santi e avi in paradiso si moltiplicavano…. però erano attimi in cui la paura che fosse tutto vero lasciava lo spazio alla contingenza del momento, toccava muoversi velocemente ed affrontare la realtà della guerra. Ricevemmo le istruzioni che ci indicavano di piazzarci in mezzo ad un prato, eravamo giusto un plotoncino; piazzammo quindi la nostra mitragliatrice MG, sistemammo i teli mimetici, troppo chiari rispetto al verde intenso dell’erba il che ci faceva apparire più come un bersaglio piuttosto che un punto di difesa, mancava solo la freccia che indicasse la posizione ed era fatta. Tutti in silenzio, a scrutare il muro di fronte stesi a pancia in giù, era la guerra? Se lo fosse stata avremmo dovuto sentire degli spari o dei colpi di cannone, e noi chiusi in caserma. Dove era l’aviazione, e i carri armati?

una mitragliatrice MG

Non sembrava esserci molto movimento per una guerra vera, tra di noi iniziavamo a ventilare ipotesi bislacche. Se fossimo stati realmente in guerra qualcuno avrebbe dovuto sparare attaccarci… e se il nemico non fosse quello che ci eravamo aspettati sin li, se fosse in realtà un attacco da qualche paese arabo, tipo la Libia.? Mmm, non pareva possibile, eppure toccava stare all’erta. Noi lo fummo ma, la notte ed il sonno ci vinsero. Toc, toc! Quel rumore metallico in corrispondenza dell’elmetto, non era un buon presagio. Era il rumore del calcio della pistola del tenente che stava suonandoci la sveglia percuotendo per l’appunto l’elmetto, così da svegliarci. – Lei ed il suo plotone state puniti – Diciamo la verità, da un certo punto di vista eravamo contenti non era la guerra, ma il fatto di non aver sentito la sirena del cessato allarme non era certo una cosa positiva per me ed il mio gruppetto, che fu messo di guardia per 15 giorni di seguito. Non ci addormentammo più ma eravamo felici di non aver dovuto combattere veramente. Tra allarmi e picchetti a vari presidenti della repubblica o del consiglio la vita in caserma si svolgeva senza eccessiva noia, a parte qualche incendio da spegnere sul Carso nulla sembrava si muovesse, e forse è anche questo uno dei motivi per cui molti si annoiavano e non ce la facevano più ben prima della “cena dei cento” chiamata così perché celebrava gli ultimi cento giorni del servizio di leva.

la cena dei 100 con i miei commilitoni: Jozzelli, Melchionda, Torresan , Macchi, Rondena, Doneda, Furlan. (di altri in foto non ricordo i nomi)

Ecco, in questa cena, tra goliardia(sana) cori da stadio ed altre amenità del vivere sociale, a volte si tendeva ad esagerare, sopratutto nel bere, dapprima birra a fiumi, durante la cena, la decade veniva di colpo annegata nei copiosi boccali, ma il top prevedeva rituali non sempre politicamente corretti, a parte le urla belluine per le vie del centro; la visita d’obbligo era quella del pub in cui servivano una bevanda speciale la “Coca Buton”, ovvero un liquore che conteneva delle foglie di coca che avevano subito un processo di distillazione a causa del quale avevano perso la proprietà tossica e stupefacente ma avevano mantenuto il sapore della pianta.

Quindi nulla di realmente stupefacente, tuttavia era un prodotto molto ricercato dai commilitoni poiché un po’ per il sapore, un po’ per la sua alta gradazione alcolica, aveva il potere di entrare immediatamente in circolo e i pochi benefici per l’anima lasciavano subito il posto agli evidenti danni alla psiche dei gruppi di persone che ne facevano un uso abbondante nella speranza di poter raggiungere il “nirvana”

Spesso la noia porta le persone a fare cose stupide, infatti come ho scritto poco sopra, molestie, intimidazioni, atteggiamenti provocatori, sono in quell’ambiente, figli di una situazione in cui nessuno di loro avrebbe voluto essere, strappati dalle loro fidanzate, mogli, famiglie, lavoro, figli. Diciamo più prosaicamente che intere generazioni furono strappate da quella che chiamiamo la vita reale, certo molti di loro rientravano a casa dopo un anno di servizio militare, uomini fatti, ma si trattava molto spesso di ragazzi che avevano affrontar ben poco la vita sociale e per lo più provenienti da paesi o da situazioni in cui erano protetti o dalle famiglie o dal tessuto sociale, ricco o povero che fosse, me compreso. Un’ altro discorso invece va fatto per chi invece la vita militare l’ ha scelta e qui si apre un altro ventaglio di opzioni. Una volta e ancora oggi entrare nell’apparato militare di uno dei tre corpi principali dello stato frequentando le varie accademie ed acquisendo grado e professionalità voleva dire confermare o rafforzare uno status sociale in precedenza acquisito, per esempio era quasi naturale per il figlio di un ufficiale entrare o almeno provare a frequentare un’accademia militare, oltretutto la possibilità di completare gli studi indossando una divisa era un segno di prestigio. Ancor oggi guardiamo con un pizzico di curiosità, ammirazione e un po di invidia i giovani cadetti che magari incontriamo presso qualche stazione o qualche aeroporto, ragazzi che hanno deciso di indossare una divisa spinti dalle più disparate motivazioni e che come ogni militare non vedeva l’ora di passare il week end con i familiari. Per altri invece era stato una scelta per scappare da situazioni di marginalità o da famiglie oppressive, altri ancora, perché volevano vedere altre parti del mondo. Mio padre per esempio si arruolò nell’arma dei carabinieri perché sei era ribellato ai suoi che non lo volevano far giocare a calcio… Ci rimase fino alla pensione e si congedò con i gradi di maresciallo maggiore. Preciso per chi non avesse per qualche motivo avuto la corretta informazione che la benemerita, arma dei carabinieri nata nel 1815 a Torino alle dirette dipendenze di Vittorio Emanuele pur avendo ricoperto incarichi di polizia militare, è ufficialmente inquadrata tra le file dell’esercito, avendo per altro partecipato seppur con ruoli diversi a quasi tutte le guerre dal risorgimento in poi. Non parlo quindi senza una ragione ma con un opinione basata sulla mia esperienza diretta. Poi Arrivò il 1968 e il periodo della contestazione che criticava ogni organismo statale e con il movimento pacifista importato dagli USA si opponeva sia alla guerra del Vietnam sia alle strutture burocratiche come la politica e l’esercito. In quegli anni, il numero di ragazzi che sceglieva di arruolarsi era presumibilmente calato, tuttavia le condizioni economiche del nostro paese facevano si che molti si arruolassero perché intravedevano la possibilità di guadagnarsi da vivere indossando una divisa, che un po’ per charme un po’ per marzialità faceva un dell’effetto sulle ragazze che si vedevano garantite dall’integrità dei militari nonché dalla sicurezza di un posto fisso statale. Ora non credo sia più così, il posto fisso statale non garantisce una via di distinzione e nemmeno un ascensore sociale, cosa che invece nel dopoguerra aveva rappresentato una importante svolta nelle vite di molti italiani. Oggi fortunatamente il servizio militare volontario è anche consentito alle donne. Le elezioni politiche in Italia del 1983 per il rinnovo dei due rami del Parlamento Italiano  – la Camera dei deputati- e il Senato della Repubblica,  si tennero domenica 26 e lunedì 27 giugno 1983. Politicamente fu una convocazione popolare molto rilevante e vennero ricordate per una grande debacle della Democrazia Cristiana, il partito politico che in quell’occasione perse ben il 6 % dei seggi, un vero disastro se pensiamo ai numeri dell’epoca. Fu altresì un momento molto particolare, sopratutto per chi come me in quel momento era nell’esercito ad affrontare l’anno di leva. una delle mattine di giugno e a Gradisca d’Isonzo iniziava a fare caldo, oddio, non quel caldo che si immagina quando si dice faceva caldo ma se lo confrontiamo con la temperatura che fino a qualche giorno prima affrontavamo sulle colline del Carso possiamo definirlo un vero assaggio d’estate, e la temperatura era destinata a salire già da subito infatti, durante l’adunata del mattino dove ero appena stato “punito” per aver fatto la ginnastica mattutina con i miei forse troppo lucidissimi anfibi, cosa che aveva attirato l’attenzione del “massiccio” ten° Rangone che non si era fatto sfuggire quindi l’occasione di obtemperare al suo dovere di garante delle regole, anche se poi mi fece saltare la libera uscita solo per quella sera. Eravamo quindi allineati a perfettamente incolonnati, il capitano con l’aria greve e lo spiritoso, dette la notizia, a breve avrebbe scelto un gruppo di soldati che avrebbero dovuto presenziare ai seggi per le elezioni politiche, ma ancora non si sapeva dove sarebbero stati destinati. A quel punto ci lascio’ col fiato sospeso e l’ argomento di discussione per quelle prime settimane di giugno aveva preso il posto delle discussioni su donne, campionato di calcio, o musica esattamente nello stesso ordine, non ho ancora capito quale fosse il motivo per cui soltanto poco prima di un evento eravamo autorizzati a conoscerlo almeno nei suoi particolari, così fu’ anche per quell’evento. Pochi giorni prima venimmo informati (naturalmente in adunata) che il nostro reparto era stato assegnato in Sicilia, chi in una città chi in un’altra , ma in Sicilia. Ok capisco che come regione sia bellissima tuttavia per un milite di leva essere spedito a 1400 chilometri di distanza dalla caserma o ancor di più da casa poteva essere un discreto problema: niente libere uscite niente licenze, niente ragazze… E’ proprio vero che ognuno vede il suo piccolo orticello ed ha la sensazione che la sua esperienza sia unica, infatti a bordo dei cassoni sui nostri ACL75 fantasticavamo (come sempre) sulle ragazze, prendendo in giro i commilitoni di origine siciliana, della loro famosa gelosia, della mafia e di un po’ tutti gli stereotipi che si possano immaginare riferendoci a quel rigoglioso e magnifico triangolo di terra che la tettonica a zolle ha voluto inserire tra la penisola italica e l’Africa.

ACL75 Iveco mezzo di trasporto per truppe e materiali

Eccoci quindi arrivati alla stazione ferroviaria di Cormons, paese famoso per ospitare varie caserme oltre ad essere comune di una zona collinare preziosa per i vini, Il Collio…. e non possiamo fare a meno di citare uno dei suoi cittadini illustri , il grande commentatore televisivo Bruno Pizzul. Ci rendemmo subito conto che non eravamo soli, sembrava una di quelle scene di film di guerra in cui si vedono partire dalle stazioni frotte di soldati che vano al fronte. Noi per fortuna partivamo solo per fare la guardia ai seggi ma eravamo in tanti, infatti si erano uniti a noi i reparti delle caserme di altri comuni come il vicino Villa Vicentina che ospitava il 184esimo genio pionieri e il 41° Fanteria Meccanizzata “Modena” oltre che della stessa Cormons che ospitava l’ 82° fanteria “Torino”. Ci trovammo quindi sul marciapiede pronti a salire in quella che una volta era chiamata “tradotta” ovvero un convoglio ferroviario adibito all’esclusivo trasporto di truppe militari. Ci fecero salire sul treno in 6 per scompartimento, i movimenti erano a dir poco limitati e in breve tempo gli effluvi podali ebbero un effetto anestetizzante. e inizio’ così il viaggio, a dire il vero un lungo viaggio, con quegli odori, lunghissimo!

1983 sul traghetto appena arrivati da Cormons dopo 24 ore di treno. Con Tramontano, Carlino , Jozzelli.

Arrivammo a villa San Giovanni dopo quasi 24 ore, ogni tanto qualcuno aveva provato a togliere gli anfibi per rinfrescarsi un po’ ma era stato subito redarguito dal resto dello scompartimento, l’olezzo dopo un viaggio in treno di un convoglio di circa 30 vagoni carichi di truppe era equamente diviso tra i vari membri dei vari scompartimenti, ma io credo che se non per la quantità, sicuramente per la qualità (in questo caso la peggiore) era capitato nel nostro piccolo tugurio in movimento. Finalmente potemmo sbarcare, avevano caricato il treno sul traghetto e ai militi fu consentito di sgranchirsi le gambe oltre che consumare qualche arancino/a o altro al bar del grande traghetto delle FF.SS. l’umore era di colpo diventato buono e si poteva di nuovo scherzare tra di noi parlando di tutto. Il panorama era come sempre stupendo, la vista dello stretto è veramente mozzafiato, le forti correnti aeree e marine danno una speciale tinta agli elementi naturali rendendoli magici. Poi due fischietti iniziarono a suonare, “l’ora d’aria” era finita, tutti in carrozza… ma per poco poiché eravamo arrivati a Messina. Tutti giù dal treno, ognuno con la propria compagnia, schierati ed in ordine con i nostri zaini pronti a salire sui camion per una destinazione ancora ignota, ricordo ancora la scritta in velcro sul petto di un alto graduato che doveva essere a capo di tutte le operazioni di sbarco e di movimento truppe. Il generale Saja impartiva ordini a destra e a manca a dei suoi sottoposti che di corsa andavano ad eseguire i vari comandi. Magro alto e lo sguardo fiero, probabilmente aveva origine siciliane e pareva veramente muoversi a suo agio in quella situazione, fu così che si avvicinò al nostro gruppo e in modo severo ma cortese ci indicò l’uscita ed i camion dove dovevamo salire. Ci ritrovammo circa un ora dopo in una caserma sita alla periferia della città di Messina.

24° Reggimento Artiglieria “Peloritani” Caserma Ainis

Ci fecero scendere dai camion e ci fu un’adunata nel grande spiazzo della caserma dove proprio dietro a noi era stata allestita una specie di tendopoli nella quale erano sistemate centinaia di brande, in pratica una piazza di sosta prima delle nostre destinazioni, ufficiali, la caserma dava proprio sullo stretto di Messina, anzi poco più in giù al punto che potevo forse secondo me scorgere il paese della provincia di Reggio Calabria in cui sono nato, Melito di porto Salvo, lo avevo riconosciuto subito grazie alla ciminiera di Saline Joniche che era stata costruita negli anni 70 assieme alla famigerata Liquichimica, grazie alle politiche scellerate per il sud dopo i fatti storici che videro scoppiare una vera e propria guerra civile, la questione verteva su chi avesse dovuto amministrare la regione Calabria, e fu cos che scoppiarono dei moti popolari con barricate e scontri con le forze dell’ordine. e io provavo a dire il vero senza successo a cercarla col cannocchiale militare, ma si poteva scorgere anche senza, più a sud nelle giornate limpide.

Un giorno e mezzo dopo risolti i problemi legati alla logistica, ci chiamarono in adunata e ci diedero un ordine di servizio da svolgersi da li alle prossime due ore, dovevamo infatti prepararci a partire per le destinazioni a cui eravamo assegnati. Salimmo sui camion nuovamente e dopo circa due ore di strada, e dopo parecchie soste di fronte a vari edifici presso i quali alcuni di noi dovevano fermarsi per prestare il servizio, eccomi di fronte alla scuola di mia destinazione. Era all’epoca una scuola elementare piuttosto piccola ben tenuta in una via poco distante dal centro anche se all’apparenza sembrava periferica, Ci accomodammo nelle camerate che il comune aveva fatto ricavare da alcune aule, dormivamo nell’istituto in 5 o 6 militari tra cui un appuntato dei carabinieri e altri fanti come me ma mi accorsi che con il grado di caporale maggiore mi trovavo ad essere il più alto in grado e la cosa non mi entusiasmò affatto anche perché sarebbe dipeso tutto da me dalla sicurezza del seggio all’organizzazione dei turni. Erano tutti bravissimi ragazzi e non ebbi modo di avere mai a che ridire con ognuno di loro; molti non erano alla prima esperienza di servizio ai seggi elettorali, ma una notte… uno dei fanti di guardia mi venne a chiamare . Mi rivestii di fretta e furia quello che aveva raccontato il fante di guardia non mi piaceva affatto. Era trafelato preoccupato, gli dissi : “calmati e raccontami bene cosa è successo,” intanto ero pronto ad uscire dalla scuola per affrontare quello sembrava essere un pericolo ed una minaccia per me ed i miei uomini di servizio. – Mentre ero di guardia ,- raccontava, – ho visto un gruppo di ragazzi che volevano aprire il cancello della scuola e ho iniziato ad urlare di andarsene, loro probabilmente spaventati se la sono data a gambe.- La cosa oltre a non piacermi non trovava una spiegazione logica, perché mai un gruppo di giovani doveva entrare in una scuola, di notte? Vandalismo, prove di coraggio, furto, e di cosa, pennarelli e pastelli? Mentre riflettevo sulla questione, dei colpi di clacson proprio di fronte alla scuola mi fecero trasalire e destare da quelle ipotesi, il fante mi disse – eccoli sono loro,- Compresi subito. Di fronte al cancello della scuola una macchina modello cabriolet con a bordo 4 o cinque giovani era venuta a manifestare contro qualcosa, probabilmente la politica, o il sistema, avevano anche delle bandiere di riconoscimento appartenenti a qualche gruppo politico extraparlamentare. Urlavano nei confronti dei militari della scuola “Servi del potere! schiavi dei padroni!” non capivo io all’epoca non avevo ancora maturato una coscienza politica, cosa che invece molti miei coetanei avevano fatto abbracciando questo o quel partito, mio padre maresciallo della “benemerita” mi aveva sempre detto di stare lontano dalla politica, lo ho capito solo più tardi, lui aveva vissuto in divisa gli anni di piombo e gli anni delle manifestazioni e degli scioperi che spesso finivano con scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, per cui non avrebbe mai voluto incontrarmi in una tale situazione sopratutto per proteggermi. In ogni caso la situazione di quei ceffi che stavano lanciando sassi, urlando improperi verso di noi che eravamo tutto fuorchè “contro qualcuno” mi fece irritare parecchio e d entrai a prendere il mo FAL, Fucile automatico leggero, ero seriamente intenzionato a farmi rispettare anche a costo di sparare (naturalmente in aria) un colpo di fucile… Una voce perentoria mi bloccò (fortunatamente) “Caporale cosa sta facendo!” era l’appuntato dei carabinieri: continuò: ” Lasci stare l’arma, non faccia cavolate, sono solo ragazzi che non hanno niente di meglio da fare, vedrà che se andranno subito.” Mi calmai e rassicurai l’appuntato che aveva aggiunto alla frase un: “teniamo famiglia! ” – Voglio solo spaventarli dissi- Cosi uscii ed intimai ad alta voce di andarsene poiché in caso contrario sarei stato costretto ad usare le armi. la bordata di insulti che mi presi in quel frangente me la ricordo ancora oggi. Ma se ne andarono, e qualcosa mi diceva che non sarebbero tornati. Ringraziai l’appuntato per il buon senso, lui si era giustamente preoccupato, quel giovane caporale maggiore un po’ guascone e armato come un Rambo se non avesse avuto il minimo buon senso sarebbe potuto essere pericoloso secondo lui. Probabilmente avrebbe avuto ragione ma non era tenuto a sapere che ero un figlio dell’arma e che avevo avuto a che fare con le armi fin da bambino. e mi ricordai di un fatto di tanto tempo prima. Quel giorno, mentre ero ancora alla scuola media, ci trovammo come si era soliti fare in quasi tutte le famiglie, a pranzo; mentre mangiavamo lui vide che, stranamente rispetto al solito, io ero molto concentrato su quella che per lui era uno strumento di lavoro, la sua Beretta calibro 9 parabellum era l’arma in dotazione ai vari corpi dell’esercito tra cui l’arma dei carabinieri, era sempre stata li, sopra la tv ma quel giorno lui notò che io ragazzino la stavo guardando un po troppo spesso, così mi disse. – Giulio per favore mi passi quell’arma?- Mi alzai di scatto e la presi, assieme al caricatore che era naturalmente estratto, gliela porsi e mi chiese di avvicinarmi a lui , io curioso come una scimmia andai subito vicino a guardare cosa stesse succedendo, e lui: “voglio vedere se sai fare quello che faccio io, ovvero smontare e rimontare l’arma di ordinanza, la pistola. Iniziò a smontarla, e in poco tempo sul tavolo erano sparsi tantissimi pezzi di ferraglia, molle e metalli sconosciuti In un attimo rimise assieme i pezzi meglio che in un puzzle per bambini e mi invitò a provarci avvisandomi di partire prima dal caricatore e dal controllo con la sicura dell’eventuale colpo in canna, lo seguii attentamente e in poco tempo smontai l’arma e fui capace a rimontarla. “Fallo un’altra volta” disse, io accettai la sfida e in minor tempo della volta precedente smontai il manufatto e lo rimontai alla perfezione. Gliela porsi intera dalla parte del manico tenendola per la canna come mi aveva insegnato, poi mi disse bravo, anzi bravissimo ora però riponila sopra la tv… La misi a posto, passarono due o tre secondi e disse: bravo hai saputo smontare e rimontare la mia pistola, ora, se solo ti riscopro a guardarla o addirittura toccarla, ti riempio di cinghiate che ti faccio passare la voglia. Non ebbi mai più la voglia di toccarla ma quelle parole mi avevano insegnato il rispetto delle armi e sopratutto la loro pericolosità indiretta o diretta nell’usarle. Durante il servizio di leva mi ricapitò di smontare il fucile Garant, o il FAL, ero stato anche li piuttosto bravino.

Tranquillizai, dopo il fatto, il buon padre di famiglia, appuntato dei carabinieri che giustamente si era spaventato ma sopratutto lo ringraziai, infatti ricordando ancora l’infanzia, una delle cose che mi aveva insegnato l’uomo in divisa di casa era una cosa, “le armi non le devi mostrare o ostentare , altrimenti prima o poi potresti essere costretto ad usarle! ” -ma se per caso vengo rapinato non posso difendermi? – “ti conviene?” rispose, ” sapresti davvero usare un arma contro un uomo? e se lui la vede e spaventato usa la sua prima di te? Non credo convenga, la mia la porto per lavoro e prego il signore di non doverla mai usare anche se poi ho anche il brevetto di tiratore scelto.” Lezioni di vita che si sono rivelate molto utili, sopratutto in quella circostanza, ma ancora non sapevo cosa sarebbe successo il giorno dopo. Ci eravamo finalmente ritagliati un paio d’ore per una libera uscita nel tardo pomeriggio, naturalmente non potevamo entrare quasi da nessuna parte, giravamo armati e con l’uniforme da battaglia in ordine in perfetto ordine, non sarebbe stato un buon affare incrociare qualcuno che aveva contatti con una qualsiasi delle forze dell’ordine e trovandoci “sbragati”. avesse fatto un qualche tipo di segnalazione a qualche autorità; questo per far capire il nostro livello di responsabilità. Ci eravamo finalmente ritagliati un paio d’ore per una libera uscita nel tardo pomeriggio, naturalmente non potevamo entrare quasi da nessuna parte, giravamo armati e con l’uniforme da battaglianin perfetto ordine, non sarebbe stato un buon affare incrociare qualcuno che aveva contatti con una qualsiasi delle forze dell’ordine e trovandoci “sbragati”. avesse fatto un qualche tipo di segnalazione a qualche autorità; questo per far capire il nostro livello di responsabilità in quei frangenti.

Quel giorno per l’appunto facemmo una passeggiata su via Roma e capitava di attrarre la curiosità di molte persone che volevano sapere da dove venissimo o altre curiosità, fu così che davanti ad un gruppo di ragazzi ci soffermammo a parlare del più e del meno, mentre discutevamo di varia umanità mi venne in mente di chiedere ad uno di loro dove avrei potuto trovare un coltellino: Eh si mi ricordavo che al ritorno dal servizio di leva molti dei miei conoscenti più vecchi di me portavano a casa degli oggetti come souvenir fatti con vario materiale, fili di seta, di raso, oppure pezzi di legno intagliati con vari motivi o scritte. Ebbene si, nella noia assoluta di alcuni momenti della leva mi sarebbe piaciuto passare il tempo con quel tipo di attività artigianale non avevano ahimè inventato ancora gli smartphone. Fu così che chiesi come fare per avere quel tipo di coltellino; Uno di loro con fare vago mi venne alle spalle e mi sussurrò una cosa: – se mi aspetti qui ho quello che fa per te, e lo vendo a poco. – si certo! risposi – se aspetti qui tra dieci minuti ti porto quello che ti serve! – Si allontanò così con la sua Vespa ET3. Passarono i 10 minuti e sentii il rombo del motore della vespa di quel ragazzo che si fermò però al limite della piazza ad una trentina di metri da noi. Mi fece cenno di raggiungerlo ed io andai da lui mentre il ragazzo che era con me stava ancora chiacchierando con il gruppetto più in là. – Ecco, questo ti serve veramente, altro che il coltellino – disse, porgendomi un fagottino di stoffa senza forma, ma rispetto a quello che doveva sembrare un semplice un coltellino sembrava più pesante, molto più pesante…in tutti i sensi! Lo aprii strabuzzai quindi gli occhi, la sensazione che provai era molto simile a quella che una persona potrebbe avere quando mettendo la mano in uno scatolone, vi trova un nido di serpenti o di ragni. Ritrassi la mano immediatamente e mi uscì d’istinto un’ esclamazione, – ma sei impazzito? – Dissi,- ma vuoi farmi finire a Peschiera? (Peschiera del Garda, per i militari di leva era sinonimo di carcere Militare, duro. una sorta di Alcatraz). Lui mi guardò un po’ stupito non riteneva di avermi fatto un torto e questa sua tranquillità nel non capire il valore del gesto, finiva per inquietarmi in maniera maggiore. La Pistola, che poteva essere una Magnum 44 almeno per il calibro delle pallottole che doveva ospitare nel suo caricatore, poteva essere una Wild Eagle, ovvero una micidiale arma usata sopratutto per la caccia a grossi animali, cervi, orsi, in America ( dove è libera la circolazione delle armi) ed era una delle armi che si vedevano maggiormente nei film di gangsters o in quelli d’azione dove sparatorie e inseguimenti sono la trama principale, mentre la storia in genere è molto semplice. A me d’istinto aveva spaventato a morte oltre ad avermi oltremodo imbarazzato, immaginavo la scena di una volante dei carabinieri che ci veniva incontro e ci sorprendeva in quella assurda trattativa… non ci voglio tutt’ora pensare. Lui un po deluso mi disse: – scusami pensavo ti piacessero le armi – Io : -No, non questo tipo di armi , vere! Mi allontanai quindi da quella piazza e vi ritornai solo nell’agosto 2023 per per il matrimonio della figlia di mia cugina trovando la cittadina molto cambiata, direi in meglio. Ma il ricordo di quell’evento e dello spavento che presi è rimasto ancora vivido nella mia mente. Ci sono molti aspetti che durante la Leva possono sembrare o essere o creare spunti di divertimento, continuando con i ricordi, mi salta in mente il periodo delle esercitazioni. In quei particolari giorni ci si esercitava in caserma per poter partecipare ad un evento in cui varie forze del patto Atlantico si misuravano tra di loro nelle simulazioni di guerra. I nomi di queste esercitazioni erano spesso altisonanti, per es: ” Display Determination” “Una Acies” servivano per valutare il grado di preparazione e la capacità di intervento dei vari reparti sia sul fronte di battaglia che su quello logistico e la capacità di cooperare tra interforze sia a livello di nazioni che di tipologia di reparti in campo. L’aeronautica schierava i caccia o gli elicotteri per trasportare truppe che dovevano simulare degli attacchi e dei bombardamenti in un poligono militare, l’artiglieria schierava i suoi obici con cannoni oppure i semoventi da battaglia ME109, la cavalleria invece appoggiava la fanteria schierando i carri armati, in genere Leopard affiancati dai blindati M113 che montavano una mitragliatrice Browning oppure una MG sulla torretta, i genieri costruivano ponti di barche o ponteggi per far superare ai mezzi corazzati e non alcuni guadi nei fiumi e nei vari corsi d’acqua di cui il territorio era pieno. In genere le esercitazioni interforze venivano effettuate tra le valli e le secche dei fiumi Tagliamento o del Meduna – Cellina, poi vi erano altri poligoni tra le spiagge di Bibione e Lignano, oltre ai territori di confine che consentivano ampi spazi utili a manovrare grossi contingenti di uomini e mezzi.

Un’altra zona usata per le esercitazioni militari in Friuli Venezia Giulia assieme alle spiagge di Bibione e ad altri poligoni era quella che si trova proprio dietro il sacrario militare di Redipuglia a ridosso del lago di Doberdo’, situata nel cuore del Carso, in pratica una zona che aveva già visto grandi eserciti contrapporsi già dai tempi della “Grande Guerra”. Capitai in un’esercitazione proprio dietro il famoso sacrario luogo che mi era particolarmente noto poiché durante una manifestazione per la festa della repubblica del due giugno capitò che mi persi in mezzo alla folla proprio mentre cercavo di inseguire il passaggio delle “frecce tricolori” lasciando nel panico i miei genitori e le persone che ci accompagnavano. Era partita la caccia all’uomo anzi al bimbo , facevo la seconda elementare, e presi una solenne sgridata per aver inseguito le scie verdi bianche e rosse della nostra pattuglia acrobatica nazionale, una delle più famose e spettacolari pattuglie acrobatiche del mondo. Comunque torniamo in campo eccomi in una situazione di guerra tra interforze e da “buon autista” mi viene affidata una bellissima ambulanza militare con un equipaggio di due barellieri ed un ferito da trasportare al più vicino ospedale da campo.

Il pulmino fiat 850 non era certo una di quelle ambulanze ultramoderne che si vedono in giro oggi, multi – accessoriate, e full optional. Infatti in quei pochi chilometri di strada che dovemmo faretre giungere a destinazione, quasi esclusivamente su sterrato e buche, faticammo non poco a tenere la strada per fare in tempo secondo il piano che ci era stato assegnato dai nostri ordini, piano che doveva rispettare anche orari e luoghi, poiché in una battaglia anche finta, ogni movimento deve essere omologato ed ogni dettaglio non deve essere assolutamente trascurato.

Qui arriva la parte comica : suono’ l’allarme e alla radio ci comunicarono che un soldato era stato ferito (per comodità, lo avevamo già a bordo) e andava immediatamente trasportato in ospedale, facemmo quindi una specie di Parigi-Dakar, Carso Version, e li uno dei barellieri vomitò. Feci in tempo appena a fermare il mezzo che il tipo scese e rilasciò sulle colline anche il latte del biberon che da piccolo gli avevano somministrato per lo svezzamento: “presto, non possiamo arrivare tardi all’appuntamento con il medico dell’ospedale da campo. ” Arrivammo dopo ancora qualche curva in una zona dove la strada sembrava finisse e qui dovemmo prelevare il finto ferito e tramite la barella portarlo al campo questa volta con una camminata veloce di un centinaio di metri. La radio gracchiò – Ambulanza dove cazzo siete?- Risposi io: - siamo arrivati e stiamo trasferendo il ferito al campo… attento un sasso!- Il barelliere non lo vide , inciampò e in un istante ci trovammo a terra in tre, mentre il finto ferito rotolando si ferì veramente anche se in modo non grave ! Tra le risate arrivammo alla meta, nonostante tutto ancora nei tempi stabiliti dal ruolino di marcia. Ma sto ancora ridendo solo al pensiero di quel momento, di una guerra finita che avremmo sicuramente perso se fosse stata vera!

il giorno del Congedo: Come immaginavo e prevedevo, appena arrivato al corpo (53° ) di ritorno dal Gradisca, non trovai un ambiente molto familiare, molti sapevano della mia “fuga” senza sapere i perché e per come del fatto per cui io ero considerato alla stregua di un imboscato che non aveva voluto stare nel suo reparto per concedersi chissà quali amenità durante la dura leva: naturalmente in questo pensiero non vi era nulla di più sbagliato, in quanto l’operatività della caserma dove mi ero fermato era molte volte superiore a quella del reparto che era attivo solo per la manutenzione delle varie postazioni come detto prima. Ma tant’è, ero guardato da alcuni con curiosità, altri mi guardavano in cagnesco ed i più audaci mi fissavano sussurrando dei ” dormi preoccupato” insomma, mi aspettavo quel genere di accoglienza e meno male che avevo lo stesso qualche amico che era contento di vedermi avvisandomi pure del fatto che l’ultima delle tre notti che avrei dovuto passare li sarebbe stata a rischio. Non mi spaventai e stetti al gioco, raccontando in giro in ogni caso la mole di lavoro che ero andato a svolgere in altra località ma sempre servendo la “Patria” . Ebbi così il conforto e l’appoggio di almeno n buon gruppo di oramai “nonni” come lo ero io e fu così che l’ultima notte arrivarono silenziosamente e misero una piccola quantità di lucido di scarpe sopra un pezzo di carta igienica, ponendoli sul mio cuscino: Li sentii arrivare ma stetti al gioco infatti appena se ne furono andati misi io stesso la guancia sul lucido ed iniziai ad improperare facendo contenti gli autori dello stupido gesto che oramai conoscendo la mentalità degli autori era un gesto dovuto. Me la cavai così con poco, anche se a quelli diedi la soddisfazione come se fossi rimasto molto colpito da gesto. Il giorno successivo mi guardavano con aria soddisfatta e io recitai ancora la parte di quello ferito oramai avevo esperienza nella recitazione, poi il capitano ci chiamò per l’ultima volta e in adunata ci salutò fu così che ognuno usci da quel cancello per rientrarci solo con i suoi ricordi, belli, brutti, utili, inutili. come dice la canzoncina dei congedanti: ” a casa si và e non si torna più!”

Ringrazio per la foto del mio travagliato congedo l’ amico Pietro Frattin di Castelfranco Veneto.

dopo aver sbloccato tanti ricordi, è d’uopo fare qualche precisazione:

  1. Non sono ne contrario ne favorevole al servizio di leva, infatti anche per me ci sono stati momenti da dimenticare così come dei bei ricordi.
  2. La mia non è assoluta verità ma le cose che ho scritto sono frutto delle mie sensazioni e dei miei stati d’animo che un’esperienza di quel tipo mi ha indotto ad avere.
  3. Le persone ed i fatti narrati in questo blog sono vere, e se qualche particolare non torna, è solo frutto della memoria che a volte gioca particolari scherzi.
  4. Spero di cuore che nessuno tra i militari e non nominati si sia sentito offeso, sicuramente non erano quelle le mie intenzioni.
  5. Non è un’operazione nostalgia 
  6. Non ci sono fini politici . 
  7. Ci sono sicuramente esperienze molto più intense di questa e storie di naja che hanno avuto risvolti molto più movimentati o addirittura drammatici; qualcuno potrà dire noi ci lanciavamo sulle montagne con il paracadute, nuotavamo sotto le eliche delle petroliere, scavavamo trincee spalavamo neve facevamo i campi dormendo nei carri armati, scioglievamo la neve per bere o per farci la barba. “Bravi, scrivetelo un articoletto, per raccontare… e non solo per farci sapere quanto siete stati bravi o arditi.
  8. Il nonnismo, purtroppo, è il passo successivo al cameratismo che sfocia nella goliardia, di per se funzionale al nonnismo ed al bullismo, giustificandone ogni deriva o depravazione.
  9. Negli atteggiamenti di bullismo e nonnino ci sono regole non scritte e codici d’onore che sono perpetuate come fossero tradizioni positive anziché considerarle quasi ” mafiose” e che poco hanno a che fare col vero onore e la gloria degli eroi del passato.
  10. Non ho voluto esprimere dei veri giudizi ma delle pure impressioni, un po’ su tuttomi premeva mentre scrivevo confrontare le mie sensazioni di allora con gli eventi di oggi. Infatti n on voglio addentrarmi in un agone politico dove non ho esperienza e dove la storia scritta si scontra spesso con con la realtà dei fatti presenti e le parti in gioco o meglio in causa non riescono a valutarne gli effetti.
  11. Qualcosa l’avrò dimenticata, mi auto-assolvo vista l’età.

Ecco qua, richiudo il cassetto dei ricordi e mi ritrovo infatti ancora a pensare… il pensiero torna prepotentemente alla situazione odierna ed al conflitto Ucraino – Russo. o a quello Israelo-Palestinese, rifletto… se fosse toccato a noi? E’ giusto che non vada oltre. 

Credits e ALTRI LINK UTILI:

https://www.canino.info/inserti/antropologia/naia/01.htm

immagini prese da:

https://fanteriadarresto.altervista.org/opere_armamenti.html

Opere

Ucraina, è anche una guerra “cyber”: ecco tutti i fronti aperti

https://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2012/05/23/news/toti-bergamas-sul-futuro-regna-ancora-l-incertezza-1.5146948

https://www.corriere.it/motori/news/cards/mondiali-calcio-1982-quando-clacson-erano-impazziti/notte-caroselli-senza-fine.shtml

http://www.facebook.com/7CuneoJalmicco/posts/qualcosa-si-fa/4237914442918638/

https://www.rivistailmulino.it/a/23-agosto-2004-si-abolisce-il-servizio-di-leva-obbligatorio

https://www.facebook.com/groups/63210668937/media

https://www.70-80.it/quella-naja-al-tempo-tanto-odiata-ma-che-oggi-ci-fa-sorridere-ecco-il-suo-vocabolario/

LEVA MILITARE (Naja) ABOLITA – (Dal 1997/2005)

https://it.quora.com/Durante-il-militare-ai-soldati-di-leva-veniva-fatta-una-iniezione-particolare-a-me-mai-fatta-perché

http://rete.comuni-italiani.it/foto/2012/93442/view

https://www.slovely.eu/2021/01/02/nova-gorica-capitale-europea-cultura-2025/

THE END

About giuliokalleg

niet
Questa voce è stata pubblicata in MATEMATICA UNICATT e contrassegnata con , , , , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento